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Nicolò Moschella: Forbes lo inserisce tra le 100 menti under 30

Nicolò Moschella, antesignano del Pastry Paring: Forbes lo ha appena inserito tra le 100 menti italiane under 30

È stato da poco inserito nella lista di Forbes tra le 100 menti italiane under 30 che stanno cambiando il mondo. Lui è Nicolò Moscella, è un pasticcere, ha 26 anni e lavora a Cornaredo nel suo laboratorio di 500 mq, in cui produce torte e lievitati. Siamo andati a scoprire cosa rende così speciali le sue preparazioni e soprattutto cosa c’è di straordinario nella sua storia, tanto da essere inserito nella classifica mondiale di Forbes.

Cosa rappresenta il successo per lei?
Il successo è il taglio di un traguardo, raggiungere obiettivi prefissati, collaborare con persone che fanno parte del tuo progetto e condividere con loro il risultato. Io e mio fratello abbiamo aperto 4 anni fa e guardando indietro vediamo chiaramente il percorso fatto. È un lavoro di squadra che necessita di un suo preciso equilibrio e di una divisione chiara dei compiti, io penso alla produzione, lui all’amministrazione e alla gestione.

Insieme a suo fratello Christopher ha un laboratorio di pasticceria a Cornaredo, alle porte di Milano. Com’è nato il format? E come si è evoluto nei suoi quattro anni di vita?
Siamo partiti con un laboratorio che serviva i ristoranti. È iniziato tutto così. Pian piano ci siamo ricavati la nostra fetta di mercato, fino ad arrivare a oggi, che serviamo 150 ristoranti e più di 6.000 monoporzioni a settimana. È un mercato florido, che ci ha permesso di estendere il nostro target di clientela ed aprirci anche alle vendite on line. Oggi il nostro laboratorio ha una dimensione di 500 mq, ma il nostro obiettivo è quello di dare vita ad un franchising, ed avere un unico laboratorio di produzione. Prevediamo di aprire il nostro primo punto vendita a settembre. Avrà un’identità diversa dalla classica pasticceria italiana, non ci sarà somministrazione, né angolo caffetteria. Partiremo dalla provincia di Milano, perché è quella che da sempre ci ha dato tanto, e non vogliamo tradirla inseguendo il mito della grande città. Partiamo da qui, per arrivare, in futuro, anche fuori dai confini nazionali.

A livello comunicativo, sentite la mancanza della grande città?
A livello di comunicazione sarebbe sbagliato per noi spostarci a Milano, in città. Abbiamo creato la nostra realtà qui. Ora tutti ci conoscono e ci fermano anche per strada, a volte anche per fare un ordine. È una questione di equilibrio. Noi abbiamo trovato il nostro a Cornaredo. E non ci sposteremmo per nessuna ragione.

A chi vendete?
I nostri clienti sono i ristoranti, i privati, i bar, le caffetterie o le pasticcerie che non hanno un laboratorio interno. Poi c’è tutto il comparto dell’on line.

Un nuovo dolce dove nasce? In cucina, su un foglio, dentro un libro, da un trend del momento, dalle richieste dei clienti?
Da tutto quello che mi succede intorno. Dalle prove in laboratorio, da un sogno, da un post su Instagram, da una critica. A volte nasce prima la forma e solo successivamente penso al contenuto. Altre volte invece è esattamente il contrario. Il processo creativo è difficile da addomesticare.

Cosa vuol dire essere un pasticcere oggi in Italia, ai tempi del Coronavirus?
Significa lavorare con più attenzione, nonostante siamo da sempre ligi alle normative nell’ambiente di lavoro, sia in fase di produzione che di vendita. A livello operativo significherà fare più sanificazioni ed utilizzare tutti i dispositivi di sicurezza necessari. Fare il pasticcere oggi poi, significa fare i conti con il food cost, e non farsi abbagliare dal miraggio del risparmio sulla materia prima. È proprio questo il momento in cui lo scarto tra chi punta sull’alta qualità e chi no, verrà accentuato. È una fase importante che segnerà il nostro futuro. Molto del nostro business dipende da come decideremo di comportarci oggi.

Come avete riorganizzato il vostro lavoro nell’epoca del delivery?
Intensificando il servizio di consegne, che già facevamo prima del lock down. All’inizio, non appena la pandemia è esplosa, abbiamo registrato un calo del 50%, poi ci siamo ripresi nell’arco di una settimana, e ci siamo assestati su un 70/80% rispetto all’iniziale ipotetico 100%, fino alla chiusura definitiva. Abbiamo riaperto due settimane dopo, quando i decreti ce lo hanno consentito, in vista della Pasqua. Non sapevamo quanto e se avremmo venduto, però la gente ancora una volta ci ha sostenuto, permettendoci di rimettere in moto la macchina del delivery. È incredibile, ma quest’anno a Pasqua abbiamo venduto di più rispetto all’anno scorso.

Il suo team di quante persone si compone?
Prima dell’emergenza Covid il nostro team si componeva di 9 persone. Ad oggi siamo in 4: mio fratello e mio padre si occupano delle consegne; io ed una collaboratrice pensiamo alla produzione. Non siamo ancora strutturati per far rientrare tutta la squadra. Voglio poter garantire a tutti la piena sicurezza nel nostro ambiente di lavoro.

Vanno di moda i dolci in 3D. Progettate digitalmente anche voi?
Non abbiamo la strumentazione in casa, ma facciamo uso di quella tecnologia. Non nel senso che realizziamo dolci in 3D, ma facciamo stampare delle forme in silicone. Presto avremo una linea personalizzata ma al momento usiamo Pavoni.

Che differenza c’è tra un pasticcere e un pastry chef?
Ormai si tende a generalizzare, ma le due figure hanno alcune peculiarità ben distinte. Il pasticcere ad esempio ricopre un ruolo più esecutivo, lavora in team con altri pari, all’interno della brigata. Il pastry chef invece è una figura più creativa, che sforna idee, ricette e proposte, prima ancora di fare dolci.

La pasticceria francese è la migliore al mondo?
Credo sia una questione di percezione. Nel senso che non penso che in Francia ci siano i migliori pasticceri, ma la comunicazione ce lo fa percepire in quel modo. I nostri cugini d’Oltralpe sono più bravi di noi a raccontarsi; non hanno la nostra tradizione pasticcera, eppure quello che la gente percepisce è che i francesi siano i “padri fondatori” di quest’arte. Tanto per fare un esempio, anche noi possiamo vantare il nostro “macaron”. Eppure quel dolce tipico parla francese, ed è ben più famoso nel mondo, del nostro amaretto. Sono stati più bravi ad esportare l’idea, a renderla ancora più appetibile, anche solo lavorando sulle colorazioni del prodotto, per non parlare della progressione della pasticceria stessa, anche in tv. Et voilà. Francia = Pasticceria. Me la realtà è diversa.

 

a cura di Nadia Afragola