#ilFoodResiste

La famiglia Massari portavoce dei pasticceri in una lettera a Conte

In una lettera dai toni diplomatici la famiglia Massari riassume la richiesta di supporto lanciata da molti pasticceri italiani e rivolta al Premier.

In giorni in cui la situazione è critica per tutti, una voce si leva per evidenziare una categoria che molto speso viene dimenticata: quella delle piccole e medie aziende e delle partite iva. Perché, qualsiasi sia la tragedia (e questa è una delle peggiori viste negli ultimi anni), l’unica amara certezza che si può avere è la mancanza di attenzione delle Istituzioni verso la piccola e media impresa. Per questo la famiglia Massari ha preso carta e penna, una volta si diceva così. Oggi si comunica meglio attraverso i social, quindi il messaggio è stato postato anche su Facebook e poi comunicato. Non si tratta però di una voce isolata, per quanto autorevole. Al fianco dei Massari si sono schierati AMPI – Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, gli Associati a Con.pa.it, Consorzio Pasticcieri Artigiani Bresciani e gli Associati a Qualità Abruzzo e il Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica IGP. Abbiamo chiesto a Iginio Massari di spiegarci il perché di questa iniziativa: «La considerazione che le Istituzioni hanno di queste categorie è praticamente nulla. Per questo ritengo che sia necessaria una voce che porti alla loro conoscenza che cosa rappresenta e che cosa ha rappresentato la piccola e media impresa in Italia. Noto che si fa sempre finta che non esistiamo. Sembra che, in qualsiasi occasione, la loro forza sia ignorarci. Non hanno mai puntato sulla piccola e media impresa e non hanno mai nemmeno considerato l’idea di darci la forza che hanno i nostri colleghi europei. Per loro siamo sempre, in qualche modo, da penalizzare.

Maestro Massari quali provvedimenti potrebbero aiutare le piccole medie imprese in questo momento?
«Se queste categorie pensano che lo Stato metta a disposizione dei soldi per sostenere le aziende che attualmente non hanno entrate, si sbagliano. È inutile chiedere quello che non si può avere. Quello che si può fare però, è permetterci di dilazionare nel tempo i pagamenti nei confronti della Pubblica Amministrazione; calmierare o almeno abbassare gli intresessi delle banche. È chiaro che le banche, se non guadagnano, non esistono. Però si possono trovare degli equilibri che non penalizzino chi da sempre produce gran parte della ricchezza nazionale. Non possiamo chiedere dei regali, ma possiamo chiedere allo Stato, alle Banche o ai promotori dei leasing quello che possono fare. Per esempio la durata dei leasing potrebbe essere prolungata con riduzione dell’importo delle rate. Sarebbe già “dare un po’ di ossigeno”. Ovviamente occorre diminuire anche gli interessi. Se si devono fare dei sacrifici, li si deve chiedere a tutti».

Quanto durerà, secondo lei questo momento?
«Nessuno lo sa, ma anche dovesse tornare tutto a posto nel giro di qualche settimana (e ne dubito) non si può pensare che, finita la baraonda, si riparta come se nulla fosse accaduto, perché il 50% della ricchezza non verrà più prodotta. Qualcosa però si può fare, anche a livello di comunicazione, che mi pare contribuisca a ingenerare un clima di panico che sarà difficile poi mettere alle spalle. È vero che ci sono molti morti, e noi a Brescia, ne sappiamo qualcosa… L’informazione però sta cavalcando il lato “sensazionalistico” di questa epidemia senza dare dati attendibili. Questo ingenera panico, emotività e paura, con pessimi riflessi sulla ripresa dell’economia. Io non dico che non si debbano dare certe notizie, ma non capisco che necessità ci sia – per esempio – di dare enfasi alla morte di personaggi ultranovantenni, benchè noti. Si punta ad accrescere emotività quando bisognerebbe essere lucidi».

È il numero che preoccupa, anche se sono anziani.
«Sì, ma anche i numeri vanno letti e, soprattutto, vanno capiti. Io vedo in giro moltissimi anziani. In questo momento sono in negozio e vedo passare un uomo che conosciamo bene: ha 93 anni. Che cosa va in giro a fare? Non è l’unico. Che cosa vogliono dimostrare? Vogliono morire? È un loro diritto però poi non si venga a dire che sono morti per il virus: sono morti perché, alla loro età, non rispettano le regole. Non è così per tutti, intendiamoci, e molti invece vengono contagiati senza colpa, ma bisognerebbe cercare di andare oltre le cifre e comprendere il fenomeno: questa volta se ne esce solo rispettando le regole, per quanto dure possano essere».

È ottimista?
«No. Preferisco essere realista. Secondo me ci vorrà del tempo per uscire da questa situazione. Sicuramente c’è chi anche in questi frangenti guadagnerà, ma io mi aspetto un  periodo di crisi ed è per questo che ho deciso di farmi portavoce della categoria nella lettera al Premier Conte. In questo momento bisogna dedicarsi alla progettazione e a guardare avanti, anche se il Covid-19 ci ha messo di fronte all’imprevedibilità del futuro. Tuttavia è bene ricordare che non è necessariamente male tutto ciò che nuoce».

 

 

 

a cura di Atenaide Arpone