Grande Cucina

Sessant’anni di AIS Lombardia: crescita, sfide e nuovi scenari

Più flessibilità per incontrare il gusto (ma anche le tasche) di tutti. Una comunicazione “rock”, semplice e immediata. E il sogno di tanti giovani ambasciatori del vino italiano. Parla il Presidente Hosam Eldin Abou Eleyoun.

AIS Associazione Italiana Sommelier Lombardia fa sessanta. Sei decenni di attività sul territorio, formazione, divulgazione del vino. Un periodo in cui è cambiato, più volte e spesso radicalmente, il modo in cui si consumano, si scelgono, si promuovono e si abbinano le bottiglie. Ne parliamo con il suo Presidente, Hosam Eldin Abou Eleyoun, alla guida della sezione lombarda dal 2018. Classe 1966, egiziano, studi in chimica, esordisce raccontandoci uno dei cambiamenti più forti, sui quali personalmente ha insistito molto: quello della comunicazione, per far sì che il vino non parli più una lingua segreta e indecifrabile, ma una più semplice, accattivante, che possa raggiungere tutti.

«I nostri numeri raccontano una crescita costante, nonostante la battuta d’arresto della pandemia. In Lombardia siamo passati da 5.000 a 8.000 soci negli ultimi anni. A livello nazionale siamo arrivati a 45.000», esordisce. La ricetta? Un mix di rinnovamento e capacità di autocritica. «Arriviamo ai 60 anni con la consapevolezza di una crescita forte e con il coraggio di correggere il linguaggio per rendere il messaggio comprensibile a chi sta dall’altra parte, non solo agli addetti ai lavori. Era molto, forse troppo, classico, oggi c’è più ritmo, è più rock», sorride.

Guardando al futuro: quali sono le sfide principali per AIS?

«La prima è continuare a formare persone che conoscano il vino, i vitigni, la storia del luogo di produzione e sappiano comunicarlo. Perché il vino è parte del vero Made in Italy. L’altra sfida è mantenere forti legami con i giovani italiani, e sono molti, che viaggiano e lavorano nei ristoranti di Londra, Parigi, Australia, Stati Uniti: vogliamo che diventino ambasciatori del vino italiano.»

Giovani uomini e giovani donne?

«Sì, e anche questo ci rende orgogliosi. La media delle corsiste è intorno al 40%, in crescita. Stanno crescendo anche fra i relatori, anche se vorrei fossero di più. Noto che hanno un approccio più gentile, più empatico, che nella comunicazione e formazione è molto importante.»

L’associazione oggi non parla più solo di vino, ma si è aperta anche ad altri mondi.

«Stiamo entrando nel mondo dell’olio, della birra, dei distillati. I corsi sull’olio sono partiti in altre regioni e arriveranno presto anche in Lombardia. Quello della birra è già avviato: l’Italia è leader anche lì, soprattutto per la creatività dei produttori.»

Parliamo di ristorazione e consumo del vino. Il tema dei prezzi è caldo.

«Il costo del vino è una questione importante. In un momento in cui la gente ha già molti problemi, la crisi internazionale si riflette tanto su un paese come l’Italia e su chi esce a cena. Chi va al ristorante una volta al mese vuole spendere il giusto e a volte trova il costo del vino esagerato. Ci vogliono più proposte per tutte le tasche.»

Oltre ai prezzi, quali altri fattori incidono sul calo dei consumi?

«Impossibile non parlare di dazi, che stanno mettendo in grande difficoltà i produttori. E bisogna fare attenzione anche a una certa comunicazione che arriva dall’alto. È giusto promuovere un consumo responsabile, noi siamo i primi a farlo, ma fare leva solo su proibizioni e sanzioni ha rallentato tantissimo il consumo del vino al ristorante.»

Come deve essere il sommelier del futuro?

«Super preparato, ma senza stressare il cliente. Deve capire chi ha davanti, usare le parole giuste, dare informazioni precise su cosa c’è dentro la bottiglia. E in enoteca deve pensare all’abbinamento, capire, chiedere sempre se un vino è per una cena o per un regalo. Non spingere la vendita “importante” a tutti i costi, ma creare un’offerta intelligente, al prezzo giusto.»

C’è anche un tema di servizio al calice, giusto?

«Oggi un ristorante, ma soprattutto un wine bar, non può avere solo una manciata di vini al calice, spesso sempre gli stessi. L’offerta va ampliata e fatta ruotare, anche qui, con prezzi accessibili. È una questione di intelligenza e di strategia; magari nell’immediato guadagni qualcosa in meno al calice, ma così il cliente ne ordina due anziché uno solo, conosce due vini magari nuovi per lui e la volta dopo torna ad acquistare una bottiglia.»

Parliamo di fine dining. Cosa pensi dei menù degustazione e dell’abbinamento spesso obbligatorio?

«Il menu degustazione è il biglietto da visita dello chef, è importantissimo, lo capisco. Ma anche la carta è importante, perché non tutti riescono a consumare e apprezzare dieci piatti senza confondersi. Servirebbe più flessibilità anche sugli abbinamenti al calice, sia per andare incontro al gusto che al portafoglio. La sostenibilità deve essere anche economica.»

In AIS c’è curiosità o chiusura verso i vini dealcolati?

«AIS non chiude la porta a nulla, ma dobbiamo capire di che cosa stiamo parlando. Il vino senza alcol è un’altra bevanda, così come la birra senza alcol. È giusto che esistano alternative analcoliche per chi per salute, per scelta, per religione preferisce non bere alcol, ma esistono già.»

a cura di Barbara Sgarzi