Grande Cucina

Il cuore “di ghiaccio” della mixology

L’arte del bere miscelato scommette sui fondamentali della mixology per acquisire identità. Cubetti di ghiaccio e acque toniche intervengono nella sfida elevandosi a elementi cruciali.

La qualità in costante aumento nel mondo della distillazione e della miscelazione sta facendo sì che si producano alcolici sempre più premium.

L’obiettivo finale è andare a creare sapori diversi da quelli a cui il mondo bar ci ha tradizionalmente abituati.

La parte alcolica, com’è noto, ha il suo peso specifico nella costruzione di un ottimo cocktail ma per troppo tempo forse l’abbiamo data per scontata. La produzione di nuovi gin, il ritorno in auge del cordiale, l’avvento dei distillati al mezcal, gli amari tornati a nuova vita esprimono di rimando un crescente bisogno di identità dell’alta mixology che desidera affrancarsi dalle troppe mode e tendenze che si sono accalcate attorno al bancone negli ultimi anni.

La mixology oltre gli alcolici

Tiene il passo anche lo studio delle materie prime vegetali, sulla spinta di quel concetto di gastromixology ideato tempo fa da Filippo Sisti e oramai condiviso e imitato ad ampio raggio.

Chi punta su identità forte non può però prescindere da una terza componente che entra in gioco nella preparazione di un buon bicchiere, la diluizione, data dalla presenza di ghiaccio e/o di acqua tonica.

«Ottimi drink prevedono ottimi ingredienti e il ghiaccio in questo non fa eccezione» afferma limpidamente Gian Marco Berardini, head barman di Zuma a Roma, in cima a Palazzo Fendi. E aggiunge «La fisica gioca un ruolo importantissimo nella mixology, più il liquido è a contatto con tutte le superfici del ghiaccio, più si raffredda e più diluisce. Ghiaccio e diluizione si muovono dunque di pari passo». Quale ghiaccio utilizzare allora per un servizio perfetto? «Per un Negroni ad esempio – prosegue Berardini – l’ideale è raffreddare il cocktail all’interno di un mixing glass con dei cubetti di ghiaccio che non siano cavi né opachi e servirlo poi all’interno di un bicchiere con una sfera o un cubo ghiacciati. Così facendo otterremo dal primo passaggio la temperatura e la diluizione necessarie, e con il secondo passaggio le manterremo intatte. Se usati e controllati nel giusto modo ghiaccio e diluizione sono dunque fondamentali per la riuscita di un ottimo cocktail».

Funzionalità sottozero

Un pensiero condiviso anche da Guglielmo Miriello, Director del Mandarin Bar & Bistrot di Milano nonché esperto creatore di miscele. «Il ghiaccio è importantissimo e non vi è dubbio che debba essere di assoluta qualità: abbassa il tenore alcolico del cocktail e fa sì che gli ingredienti si amalgamino meglio, ammorbidendo eventuali spigolosità» asserisce con convinzione.È un po’ come per gli chef, che non possono prescindere da almeno tre punti fermi: ottimi ingredienti, ottima tecnica, ottima presentazione. Allo stesso modo chi fa bene il suo lavoro di bartender presta la medesima attenzione agli ingredienti che utilizza, a come li trasforma e a come li serve. «In un buon drink la diluizione pesa circa il 13%. Il ghiaccio è molto importante perché fa sì che tutti gli elementi della miscela convergano insieme rimanendo stretti tra loro. Oltre a raffreddare e diluire, crea quindi consistenza e coesione» aggiunge Mattia Pastori, punto di riferimento della mixology italiana e founder di Nonsolococktails che prende posizione anche sull’acqua da utilizzare. «Dev’essere pura, senza troppi sali minerali e ben filtrata. L’acqua del rubinetto non è adatta alla mixology infatti chi fa questo lavoro usa delle macchine apposite. Io ad esempio mi avvalgo di una Hoshizaki, che consegna un ghiaccio completamente trasparente e compatto, dove anche il cuore raggiunge una temperatura di -12° C, ovvero un punto di scioglimento nettamente superiore».

Come il ghiaccio, anche l’acqua tonica gioca un ruolo determinante. «Nel gin tonic, per esempio, rappresenta il 50% della formula. È importante scegliere una proposta a basso contenuto zuccherino, senza aromi artificiali, che aiuti a esaltare il cocktail» spiega Miriello. A cui si accoda Filippo Colombo, Country Manager di Fever-Tree: «Una tonica di qualità non è mai troppo dolce o stucchevole. La relativa carbonatazione è altresì fondamentale poiché sia la dimensione della bollicina sia la sua persistenza determineranno la qualità della bevuta. FeverTree propone una gamma di toniche che non solo si adattano ai diversi profili aromatici dei distillati ma possono essere utilizzate come top dai bartender. La tonica Elderflower, ad esempio, si adatta a qualsiasi twist sull’Hugo, ma sposa bene anche drink ai profumi di cetriolo, zenzero e pepe rosa. L’Aromatic Tonic Water (corteccia di angostura, pepe giamaicano, vaniglia del Madagascar) è perfetta invece per un twist sull’Americano, come top in drink Tiki o addirittura come vero e proprio cocktail analcolico».

Il mondo bar ha le sue leggi è vero, ma altrettanto rispetto meritano anche gli ingredienti che si hanno a disposizione, compresi quelli più freddi: chiave di volta di una bar experience unica.

Articolo tratto da Grande Cucina – Leggi il nuovo numero della rivista

In apertura: cocktail Zuma – foto Rusne Draz Photos 

a cura di Marco Torcasio