Grande Cucina

Il mondo della sala: saper accogliere con cultura e discrezione

Abbiamo parlato del ruolo del personale di sala nella ristorazione italiana con Mario Cucci, editore della guida dell’associazione “Le Soste” che da circa 40 anni riunisce i migliori ristoranti sia in Italia che all’estero.

Sono sempre meno i giovani che scelgono di dedicarsi all’accoglienza e al servizio di sala, ancora oggi gli aspiranti chef superano gli aspiranti maître e in questo la comunicazione ha giocato e gioca tuttora un ruolo determinante. Ne è fermamente convinto anche Mario Cucci, editore della guida Le Soste ed esperto di comunicazione del mondo dell’alta ristorazione.

La sala rappresenta il 51% di un ristorante

Mario Cucci_Le Soste_servizio di sala

«La mia esperienza si basa su circa 26 anni di lavoro con l’Associazione Le Sostespiega Mario Cucci – che rappresenta ristoranti dove la cucina è di primaria importanza e nella comunicazione è sempre sotto i riflettori. Quando parliamo di sala, in Italia, colui che ne ha fatto sicuramente una vera filosofia è Antonio Santini, patron del ristorante 3 stelle Michelin Dal Pescatore. Il grande Gualtiero Marchesi ha sempre sostenuto che la sala rappresenta il 51% di un ristorante. Del resto chi “vende” il piatto deve essere in grado di presentarlo bene. Non va dimenticato che in tutti i ristoranti storici e di alto livello, la sala è un elemento determinante».

In un ristorante, la buona ospitalità è un mix di molteplici aspetti. Esiste la ricetta perfetta per raggiungere il giusto equilibrio?

«Mi viene da pensare a figure del calibro di Vincenzo Donatiello, maître e sommelier del Ristorante tristellato Piazza Duomo di Alba, che ha contribuito alla creazione del mito di quel luogo insieme allo chef Enrico Crippa. In Italia, maggiormente che all’estero riscontro una sorta di anima in più nel personale di sala, che è sempre più preciso, attento, coordinato, non fa viaggi inutili, evita di stare troppo addosso al cliente. In una costante ricerca di equilibri e giuste distanze».

L’alta formazione è sicuramente un elemento chiave. Su cosa si deve puntare per creare dei veri professionisti dell’accoglienza?

«Per arrivare a certi livelli, l’alta formazione è fondamentale. Occorre conoscenza, studio delle lingue straniere e non basta solo l’inglese. Servono eccellenti doti comunicative, occorre entrare in sintonia con il cliente, essere disponibile e presente ma senza sovraesporsi. Di certo il Covid ha fatto entrare in crisi anche il grande know how del personale di sala. Ma partiamo dalle radici, dal ruolo delle scuole alberghiere. Non abbiamo un numero sufficiente di giovani che vuol fare questo mestiere. Il 70% degli allievi degli istituti alberghieri sceglie la cucina, il restante 30% si divide tra pasticceria, sala e sommellerie.

Di fondo, c’è una grave mancanza di motivazione, poi con il Covid anche i più bravi sono andati a caccia di alternative. Insomma, una crisi gravissima amplificata dal momento storico che non fa che evidenziare le difficoltà nel trovare personale di sala e cucina preparato e disponibile. Durante l’ultimo direttivo de Le Soste, abbiamo voluto mettere proprio al centro della discussione il tema della formazione, essenziale a più livelli per qualità e quantità. I giovani devono aver chiaro fin da subito che fare il cameriere non è solo fare il portatore di portate, ma saper spiegare, motivare, conoscere senza dover dire “vado a chiedere”. Questo discorso non è del tutto chiaro agli studenti che frequentano l’alberghiero».

Su quali aspetti bisognerebbe fare leva per far uscire la sala dall’ombra?

«A mio avviso è fondamentale intervenire a livello di comunicazione, la sala deve uscire da quella sorta di sudditanza nei confronti della cucina. Bisogna, quindi, parlarne di più e meglio, insistere sul concetto che chi lavora in sala ha una grande responsabilità e non è certo relegato al compito di cameriere porta piatti. Bisogna lavorare per ridare dignità a questo ruolo, che è anche culturale. Un bravo responsabile di sala, deve essere in grado di sostenere un confronto con i clienti, mettersi in gioco e affrontare diversi argomenti, pur mantenendo la giusta distanza. Mi viene in mente un altro punto di riferimento, Giuseppe Palmieri dell’Osteria Francescana (altro 3 stelle Michelin ndr) interlocutore perfetto, pronto a mettere sempre in gioco anche l’elemento culturale nel suo lavoro».

Parola d’ordine: specializzazione

Per approfondire la cultura dell’accoglienza e del servizio professionale il primo passo è specializzarsi frequentando un corso per maître e cameriere di sala. Di sicuro è fondamentale la motivazione individuale, una certa attitudine e una buona cultura, e se vogliamo scomodare il già citato Vincenzo Donatiello che sul tema ci ha scritto un libro, talvolta un esperto di sala deve essere anche un po’ psicologo.

In aperura foto Pixabay

a cura di Mariacristina Coppeto