a cura di Roberto Magro
Per chi recandosi a Londra dovesse sentire nostalgia della cucina francese, il problema quasi non si pone; la capitale inglese ha infatti accolto diversi chef Made in France. Atelier Robuchon, Ducasse al Dorchester solo per fare due nomi, non sono indirizzi di qualche arrondissement parigino, ma ambasciate del gusto francese oltre manica.
Lo sforzo diventa invece maggiore se, oltre alla tavola stellata francese in quel di Londra, si cerca anche una guida femminile in cucina.
Sedersi ad una tavola con uno chef donna è sicuramente difficile in Italia (Santini, Feolde, Varese, Mazzuccheli e poco altro, troppo poco) ma anche all’estero non si è da meno in quanto a questo gap tra i due sessi. Londra non fa eccezione: mind the gap! anche a tavola. Anche qui non mancano esempi virtuosi: il più noto Clare Smith scelta da Gordon Ramsay e che ha guidato fino al 2016 il ristorante tristellato di Ramsay a Chelsea, oppure ancora la francese Helène Darroze che ha aperto un locale a Londra. La cucina, regno femminile per antonomasia, almeno nell’immaginario collettivo, lo è ancora nel privato delle case, anche se poi le donne oggi hanno sempre meno tempo per cucinare, ormai quanto gli uomini.
Allora com’è che poi per arrivare ai vertici di una brigata delle cucine più prestigiose gli uomini il tempo lo trovano? Semplice: si tratta di posizione di comando e il “sesso forte” si fa sentire.
L’argomento della fatica fisica mi ha sempre convinto poco; in cucina si suda, si fatica e tanto anche, uno sforzo che sia un uomo che una donna possono reggere in ugual misura, se determinati.
Les Mères lionesi hanno fatto storia in tal senso. Il libro di Alessandra Meldolesi (“Eugénie Brazier e le altre, storie e ricette delle madri dell’alta cucina” con l’introduzione di Nadia Santini) è illuminante su questo fenomeno forse poco noto della storia della ristorazione francese. La più nota di queste cuoche, la Mère Brazier, è stata addirittura maestra di Paul Bocuse che la definiva così: “Chez Eugénie Brazier: L’Ecole de vie!”
Queste donne cuoche, vissute tra le due guerre a Lione, senza l’aiuto della moderna tecnologia, attrezzate di passione e voglia di imparare, sono comunque arrivate ai massimi livelli.
Amore e disciplina le caratterizzavano, l’insegnamento una naturale conseguenza della loro professionalità. Quasi figure materne che oltre a tecniche e ricette hanno insegnato frammenti di vita, l”école de vie” appunto.
Se è vero che la storia della gastronomia ha personaggi quasi esclusivamente maschili, è altrettanto vero che queste Mères si sono conquistate una carriera di tutto rispetto.
Chiamate Les Mères per via dell’ambiente e della cucina familiare proposta. Poco note anche a causa dello scarso sviluppo all’epoca della critica gastronomica. Spesso hanno dato il LA a invenzioni sviluppate poi da uomini verso gli anni 70, con la rivoluzione della nouvelle cuisine, invenzioni che dovrebbero rivendicare una maternità.
Tornando a Londra e alla ricerca di cucine francesi guidate da donne, una tappa che può soddisfare il palato è quella al Four Season, dove da meno di un anno ha aperto Anne Sophie Pic, figlia d’arte e oggi chef pluristellata francese con diversi locali all’attivo. Tra questi La Dame de Pic a Parigi replicata nel format a Londra, stesso nome ma all’interno di un hotel, e che in pochi mesi ha conquistato una stella Michelin.
Un piacere che a pranzo ci si può permettere a cifre relativamente contenute, con i menù del lunch. Stessa brigata, stesso servizio, stessa qualità della cena, solo una scelta più limitata e ancora tutta una giornata davanti per digerire, anche se da queste parti di pesante non c’è nulla.
Trovata una tavola raffinata e a guida femminile, viene da chiedersi se e in quale misura una donna chef faccia la differenza nell’idea di un piatto.
Si parte con un tonno marinato con pepe della Tasmania, lamponi, fichi freschi e Hibiscus. Lo guardo, lo assaggio, penso che è buono e anche bello, raffinato, come tanti altri piatti a quelle latitudini. Penso anche alla straordinaria coerenza cromatica di tonno, lamponi e fichi, e anche quelli che sembrano petali di cipolla rossa, una decisa gamma di rossi, diverse consistenze e sapori tutt’altro che ‘monocromatici’: grassezza, dolcezza, acidità, sapidità, sapori diversi e armonicamente uniti. Dovrei forse aspettarmi meno tecnica da una donna? Oppure meno creatività? Un maggior ancoraggio alla..(no, tradizione non lo scrivo)….classicità? Niente di tutto questo, eppure la sensazione di un tocco femminile la sento: è forse questa variazione sul rosso la mano femminile? Quel plus di delicatezza nella concezione del piatto? Personalmente credo a poche o nessuna differenze di fondo tra uomo e donna (fisico a parte); tutte le distinzioni comportamentali tutto sommato indotte dall’educazione e da modelli più o meno imposti. Indipendentemente dall’origine, le differenze però ci sono. Oggi, nel piatto, le riscontro? Guardando il tonno direi di sì ed è una differenza che mi piace: non si tratta solo di raffinatezza, che compete anche ai maschi, è piuttosto una sensazione di armonia naturale, come un rassicurante sorriso femminile che si apre, di madre, sorella, amica o compagna poco importa. Forse la femminilità in cucina è armonia, a volte confusa con qualcosa che, in quanto rassicurante, sembra meno creativo; è invece un equilibrio di ricomposizione tra estro e concretezza gustativa, sotto il riflettore di un’estetica luminosa, pulita e precisa. Non a caso Anne Sophie Pic stessa si definisce una funambola dei sapori.
Segue una sella di agnello arrosto con camomilla e yogurt, accompagnata da bottoni di pasta fresca ripieni di patata affumicata. Succosità e morbidezza della carne sono fuori discussione, la salsa tirata comme il faut e servita al tavolo. Lo yogurt fornisce una ‘lattosità’ che evoca la presenza di un’animella, assente, anche se al primo boccone di carne avvolto nello yogurt si è portati a immaginarla. La pasta accanto può lasciare perplessi, nessun vezzo estroso in realtà; anche Marchesi con l’anatra come secondo piatto propone in abbinamento della pasta ripiena. Qui il ripieno dona una nota affumicata forte e avvolgente che dà sprint al piatto stimolando le papille.
Sul finale la geometria si fa dessert e la millefoglie è cubica. È il dessert signature di Anne Sophie Pic: quando un piatto diventa simbolo dello stile di uno chef, la sua firma appunto.
Bianco, lineare, essenziale nelle dimensioni contenute, elegante, anche questo un tocco di raffinata armonia femminile? Gli strati ci sono, nascosti però da una bianca crema puntellata di semi della bacca di vaniglia Thaiti. La spuma di pepe ai quattro lati uno stacco gustativo, la vaniglia è forte in sapore ma bassa in zuccheri, la parte più dolce è interna, riservata alla gelée floreale al gelsomino.
Inutile dire che ne mangerei un’altra, ma evito e chiedo il conto; in sala il personale è francese o parla perfettamente francese, dal Bing Ben alla Tour Eiffel il passo è breve, almeno a tavola.
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