Grande Cucina

Quando il prodotto diventa metodo: il Prosciutto di Carpegna DOP da Verso

Il caso del ristorante Verso e il ruolo degli chef nelle collaborazioni gastronomiche.

Le collaborazioni tra ristorazione d’autore, produttori e consorzi stanno diventando una parte sempre più rilevante del settore. Non è un fenomeno marginale, ma un banco di prova in cui si misura la capacità degli chef di trasformare una materia prima in linguaggio. La cena organizzata al ristorante Verso con gli chef Capitaneo e il Prosciutto di Carpegna DOP ha evitato la trappola più diffusa, limitarsi a “mettere un prodotto in carta” per sancire una presenza.

Il Carpegna è stato trattato come materia di lavoro e non come elemento da esibire. La domanda non era quanto fosse buono, ma come si comportasse quando entrava in relazione con altre strutture, sapori e tecniche. Il menu proposto è stato, di fatto, uno strumento di verifica, prima l’assaggio del prosciutto in purezza per fissare le coordinate aromatiche, poi la sua presenza come vettore nei piatti vegetali e nel raviolo, fino al ruolo di componente strutturale nel capriolo, dove non segnava il gusto, ma lo completava. Qui il prodotto non funzionava come firma identitaria, ma come ingranaggio di un progetto gastronomico.

Il Prosciutto di Carpegna DOP

Verso Ristorante Milano piatto

Dentro questo processo emerge un punto essenziale. Il valore di una collaborazione non nasce dall’eccellenza dichiarata del prodotto, ma dal momento in cui un ingrediente eccellente diventa strumento operativo. Il Prosciutto di Carpegna DOP lo consente perché non è una materia generica, ma un sistema composto da territorio, metodo e disciplinare.

Nasce nel Montefeltro, dove l’aria asciutta proveniente dall’Adriatico e il microclima costante incidono sulla stagionatura e sulla definizione aromatica. La lavorazione, rimasta fedele a una tradizione secolare, non è un gesto nostalgico, ma una tecnica funzionale: la stuccatura manuale con strutto, farina di riso e spezie come pepe e paprika regola la maturazione e incide sul comportamento del prodotto in cucina.

A questo si aggiunge un disciplinare che non tutela solo un nome, ma stabilisce un perimetro tecnico, filiera limitata, suino pesante italiano, stagionatura minima di sedici mesi in un unico prosciuttificio. Per uno chef significa poter lavorare su un ingrediente stabile, non variabile, e questo permette di costruire abbinamenti e processi con margini di previsione precisi.

Il valore della collaborazione

Prosciutto di Carpegna DOP da Verso

È in questa cornice che il lavoro dei fratelli Capitaneo assume un valore più ampio. Non hanno inserito il Carpegna nel menu per omaggiarlo, ma lo hanno studiato, messo sotto pressione, forzato nelle funzioni, confrontandolo con elementi dolci, acidità vegetali, parti proteiche e note affumicate.

Hanno fatto quello che distingue una cucina che cresce da una che resta ferma: trasformare un prodotto in un pensiero. La ricerca non è stata un ornamento, ma il fulcro del progetto. Ed è anche in percorsi come questo che si leggono i risultati: le due stelle Michelin dei Capitaneo non sono un premio estetico, ma la conseguenza di una disciplina gastronomica fatta di analisi, coerenza e responsabilità progettuale.

Il Prosciutto di Carpegna portava con sé un valore già definito. La cena lo ha messo in azione, trasformandolo da eccellenza riconosciuta a strumento gastronomico. In un settore che cita spesso le etichette, il punto non è dichiarare un prodotto, ma dimostrare cosa permette di fare.

a cura di Federico Lorefice