Grande Cucina

Laura Shapiro: what she ate

 

 

Per anni la giornalista americana Laura Shapiro si è occupata di cibo, arte e donne. I suoi articoli sono apparsi sui giornali più prestigiosi, tra cui il New Yorker, e le hanno fatto vincere i premi più ambiti. Il successo è arrivato nel 2007 con Julia Child: A Life, il libro in cui Laura esplora la vita avventurosa della giunonica Julia Child diventata famosa grazie a un programma televisivo di cucina che ha insegnato all’America puritana i piaceri del cibo francese con What She Ate, la sua ultima fatica letteraria uscita la scorsa estate, Laura Shapiro inaugura un nuovo genere: la biografia culinaria e rivela la vita intima di sei grandi figure femminili attraverso il loro rapporto con il cibo. La raggiungo al telefono nella sua casa newyorkese, dalle sue prime battute capisco perché quasi ogni giornalista che l’ha intervistata ha scritto un appunto sulla sua gentilezza; Laura è una delle persone più accoglienti e generose con cui abbia mai parlato al telefono.

Del suo libro mi ha colpito l’attenzione al cibo ordinario, quotidiano. È questo il primo passo per conoscere una persona, anche importante?  

Il cibo che consumiamo a casa nostra giorno dice cose interessanti. Non sto parlando di quando andiamo al ristorante o di quando cuciniamo per un evento speciale, intendo quando cuciniamo per noi o i nostri cari. Mi interessa la cucina quotidiana, le persone vere.

 

Come è cambiata l’abitudine degli americani al cibo?

Attraverso il cibo il nostro mondo sociale, culturale e emotivo diventa un’abitudine. Dell’Italia mi piace che ci sia una tradizione culinaria talmente forte che ogni volta che siete a tavola vi aspettate cibo eccellente. In America la cosa non è così scontata.

 

Come è nato il suo amore per il cibo, forse guardando la mamma che cucinava per lavoro?

Erano gli anni ’50, ricordo la nostra cucina sempre aperta e piena di cose buonissime. La mamma cucinava per feste e eventi, non era una chef ma era una cuoca eccellente. La cosa che amavo di più della sua “home cooking” era la semplicità delle ricette.

 

Oggi il mondo del food rifugge la semplicità. I social ci insegnano piuttosto la tecnica dello showing off

Il cibo su Instagram trova la sua esaltazione estetica, personalmente trovo molto più interessante il cibo cucinato per nutrire le persone che amiamo. Un gesto che solitamente compie la donna nel quotidiano di una famiglia. Gli uomini cucinano qualche volta e il loro spesso è un vero e proprio show.

 

Eva Braun, Eleanor Roosevelt, Dorothy Wordsworth sorella del poeta inglese, Rosa Lewis, la scrittrice Barbara Pym e Helen Gurley Brown direttrice di Cosmopolitan. Nessuna di loro sembra avere avuto una relazione sana con il cibo

In tutte queste storie di donne straordinarie, anche nel loro negativo, c’è un forte legame emotivo legato alla tavola. Tra tutte, quella che ha avuto un rapporto felice con il cibo è stata Barbara Pym, una donna forte che nella vita ha sempre e solo voluto scrivere. Tra le più tormentate in fatto di cibo sono state sicuramente Eleanor Roosevelt e Dorothy Wordsworth.

 

La storia di Dorothy è toccante. Sorella devota al grande poeta si prende cura di lui fino a quando lui trova una donna e allora lei si lascia andare, perde il lume e ogni freno con il cibo. La sua storia, trovo, è simbolo di una certa sottomissione.

Le donne sono state associate al cibo per così tanto tempo che è normale pensarle come angeli del focolare dedite a cibare la famiglia. Oggi anche gli uomini cucinano, ma è un fatto molto nuovo, soprattutto in America. Sono le donne che ogni giorno fanno la spesa, preparano la colazione, i sandwich per i bambini e pensano alla cena.

 

Cucinare ogni giorno per una donna impegnata su più fronti può essere una prigione, o quanto meno un compito molto noioso. Ci libereremo mai di questo fardello?

Sì se gli uomini diventeranno sempre più collaborativi e se smettiamo di pensare che cucinare sia complicato. Non c’è niente di più semplice, basta spostare l’attenzione dall’aspettativa che sulla tavola ci sia sempre qualcosa di pazzesco. Per noi americani la cena è l’unico momento in cui la famiglia si riunisce, la sfida è trasformare quell’ora trascorsa insieme in qualcosa di buono da condividere sia sul piano emotivo che su quello culinario.

 

Tra le donne raccontate nel suo libro c’è anche Eva Braun, non proprio un angelo del focolare. È stato difficile scrivere di lei?

Eva non mi piaceva, ma studiando la sua storia ho trovato sorprendente il fatto che da sola abbia creato il suo mito. Non era una nata bene, ma contando sulla sola ambizione è riuscita nel suo obiettivo: vincere un marito che la elevasse sul gradino più grande della scala sociale. Pensava di essere una femminista, ma immolò la sua vita al marito diventandone dipendente. Cucinava per lui concedendogli molti dolci e zuccheri, lei invece era ossessionata dalla magrezza.

 

Eleanor Roosevelt femminista lo era per davvero. A volte cucinò anche malissimo, un gesto di ribellione?

Eleanor era una donna forte, lottò per difendere i suoi principi sui temi più caldi come lavoro, giustizia e diritti civili. Prese molto sul serio il suo lavoro da First Lady, ma non ebbe una relazione felice con il marito. Con il cibo aveva un rapporto altalenante, studiando la sua biografia ho scoperto che amava mangiare, eppure talvolta si negava questo piacere. Tutte queste donne con un passato esemplare e un vissuto tormentato dovrebbero farci riflettere sulla parola femminismo, il suo significato cambia perché il mondo cambia.