Il commento del direttore di Grande Cucina Federico Lorefice alla presentazione della Guida Michelin Italia 2026.
L’edizione italiana della Michelin di quest’anno restituisce una fotografia precisa. 341 ristoranti con una stella, 38 con due stelle, 15 con tre stelle. Siamo il secondo Paese al mondo per numero di stellati. È un dato che racconta un sistema ampio, diffuso, che negli ultimi anni sta cercando una nuova strada.
Dentro questi numeri c’è però un movimento interessante. La presenza dei giovani. Sul palco a Parma è emersa una generazione che non è più un semplice contorno. Chef, pasticceri, sommelier e direttori di sala hanno trovato spazio reale. Il ricambio non è più episodico. La guida oggi osserva non solo la maturità del percorso, ma anche la direzione. Una cucina che cresce, sperimenta, si sposta. Ed è un passaggio importante, perché segna un cambio culturale. Non si premiano solo i nomi consolidati. Si premiano anche i processi in atto.
A questo si aggiunge il tema dei territori. Le nuove stelle non arrivano solo dai centri più noti. Arrivano da isole, vallate, piccoli comuni, territori laterali che spesso raccontano meglio l’identità italiana. È un Paese che vive di geografie minute, più che di grandi capitali gastronomiche. Quest’anno questa mappa è più chiara. L’Italia che cresce è quella che lavora a contatto con il territorio. Che lega la cucina all’ambiente. Che costruisce narrazioni coerenti e riconoscibili.
Accanto a questo emerge un altro fenomeno. La crescita della ristorazione d’hotel. Non è un dettaglio. È una parte consistente delle nuove assegnazioni. Un modello che mette insieme solidità, struttura, investimenti, capacità gestionale. Tra questi, I Tenerumi con lo chef Guidara, due stelle in un contesto d’hotel a Vulcano. Lo stesso vale per la nuova stella della Terrazza dell’Eden a Roma guidata dallo chef Bianco. E ancora Ineo a Roma, Quellenhof Gourmetstube 1897 a Bolzano, Agli Amici Dopolavoro a Venezia, Luca’s by Paulo Airaudo a Firenze, il Ristorante Alain Ducasse a Napoli. Sono esempi diversi ma legati dallo stesso principio. Gli hotel diventano spazi gastronomici sempre più competitivi. Strutture forti che permettono a chef e brigate di lavorare con mezzi importanti. È un modello che funziona e rispecchia anche un certo modo internazionale di intendere l’alta ristorazione. Ma apre un interrogativo: come proteggere la parte più artigiana e intima della cucina italiana in un sistema che spinge verso modelli più strutturati.
Il tema non è scegliere da che parte stare. Il tema è l’equilibrio. L’Italia ha costruito la propria credibilità gastronomica sui piccoli numeri. Sulle cucine che lavorano in profondità, non in larghezza. Su artigiani veri che hanno fatto crescere la cultura gastronomica prima del mercato. È giusto che oggi la guida riconosca il valore delle grandi operazioni. Ma è altrettanto importante continuare a dare spazio a quei ristoranti che non fanno rumore, ma fanno identità.
La Michelin sta cambiando. È un dato. Lo fa in un contesto globale che corre. L’Italia può seguire questo ritmo senza perdere la propria anima. E i numeri lo dimostrano. La sfida sarà continuare a dare spazio ai giovani, sostenere i territori laterali e non dimenticare la forza dei piccoli. Dentro quei 341, 38 e 15 stellati non c’è solo una graduatoria. C’è la direzione della nostra cucina nei prossimi anni.
a cura di Federico Lorefice


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