Il Pasticcere e Gelatiere

Carmen Vecchione e illy: testimonial di un’Italia che tutto il mondo ci invidia

Classe 1974, Carmen Vecchione ha sublimato la sua passione per la cucina con numerosi corsi di specializzazione e approfondimento. Dal 2008 apre Dolciarte e prende forma la sua idea di pasticceria, con una qualità senza compromessi, fra memoria e avanguardia. Questo impegno e questi valori si rispecchiano nella collaborazione con illy, che porta nel mondo il migliore caffè che offre la natura

Carmen Vecchione è la sua terra, il suo laboratorio di sole donne, la sua capacità tecnica alla base dell’avanguardistico Dolciarte, che festeggia 13 anni di apertura. È passata dietro la scrivania, diventando docente e ambassador, formatore.

Proprio i valori insiti nella pasticceria di Carmen, come la ricerca della qualità e l’attenzione perpetua alla formazione, sono il nesso che la unisce ad illycaffè, che sin dalla sua fondazione ha come mission quella di deliziare gli amanti del buono e del bello nel mondo con il miglior caffè che la natura possa offrire, unita alla dedizione costante all’etica e alla sostenibilità, in un circolo virtuoso che mira a creare valore per tutti gli attori che compongono la filiera e nel pieno rispetto dell’ambiente.

Abbiamo incontrato Carmen nella sua pasticceria, per un’intervista sul passato, il presente e il futuro.

Facciamo un passo indietro. Cosa resta della sua famiglia e dei suoi insegnamenti?

Tutto. Sono il mio sostegno giornaliero, è a loro che devo la possibilità di aver fatto questo lavoro. Non si sono intromessi quando ho deciso di cambiare strada, dopo la laurea in economia. Vengo da una famiglia di origine contadina, con una azienda agricola: il cibo fa parte della nostra vita da sempre e per quanto la mia pasticceria non abbia un taglio classico, ho dei prodotti tipici che mi accompagnano, ai quali sono legata e che porto avanti per tradizione.

Tredici anni fa nasce Dolciarte, la sua pasticceria d’avanguardia. Che coordinate ha?

Arrivavo dalla pasticceria da ristorazione, ero all’oscuro del mondo dei semilavorati, non parlo di una pasta di nocciola o di un pralinato per carità, ma di una polvere dalla quale poi esce un panettone o una crema, un pandispagna. Nasco con l’idea di avere per le mani gli ingredienti reali per fare un dolce. Le coordinate sono queste e l’ambiente familiare in cui si muovono i miei dipendenti, che fanno parte dell’azienda e devono sentirsi tali.

Come cambia un dolce se fatto in un laboratorio come il suo o nelle cucine di un hotel?

Cambia il metodo di servizio e non è poco. Nella ristorazione hai un arco di tempo dedicato alla preparazione e poi c’è il servizio che ti dà la carica, perché il piatto al tavolo deve arrivare in dei tempi prestabiliti. Le tempistiche differenziano innanzitutto quei due dolci, mentre per quanto riguarda le tecniche il livello, oggi, si è abbastanza livellato. Il dolce d’hotel si costruisce nel piatto ed è li che va concepito, in un laboratorio lo realizzi in un pirottino perché deve essere semplice da mangiare.

Quando si fa una consulenza da dove si inizia?

Devi capire l’ambiente in cui ti trovi. Non sono io a dettare le regole ma i clienti, le attrezzature di quel posto e devi essere bravo a immedesimarti nella realtà in cui sei, che puoi provare a cambiare solo in funzione di una produttività e organizzazione del lavoro migliore. Tante sono le variabili da tenere sotto controllo.

È anche una docente di IN Cibum. Parliamo del momento in cui è passata dietro la scrivania.

Credo di essere portata per l’insegnamento, è una cosa molto delicata che devi fare con coscienza, perché hai in qualche modo nelle mani il futuro dei ragazzi. C’è stato un arco temporale in cui il docente dava l’idea che frequentare quella determinata scuola fosse già qualcosa di rinomato e che bastava quello per pensare di avere un mestiere per le mani. Occorrono mesi, anni ed esperienza, e spesso non basta il talento, né una buona manualità. I ragazzi vanno stimolati e fatti crescere nell’umiltà.

Quanto influisce sul bilancio di un artigiano il costo delle materie prime e del capitale umano?

Sono due cose che si legano tantissimo. Per lavorare alcune materie prime di primissima qualità abbiamo bisogno di personale qualificato. Diverso se devo mescolare delle polverine. La professionalità va retribuita, anche se il costo del lavoro in Italia è tra i più alti di tutta Europa.

Come sceglie le aziende partner?

Creo un legame importante con loro. Se cambio azienda è perché ho rotto il rapporto dal punto di vista personale. Forse da imprenditore non è giusto ma ho scelto di fare questo lavoro perché amo fare rete.

La collaborazione con Illy come nasce?

La collaborazione parte prima che io diventassi loro partner con il bar presente nel laboratorio. Usavo i loro caffè solubili per i prodotti da laboratorio, dal croissant, al panettone, poi il rapporto è cresciuto con il tempo. Sono italiani e lotto per loro e al loro fianco, l’amore è scoppiato dopo aver visitato l’azienda. Mi sono innamorata dei loro processi produttivi.

Come si fa innovazione, oggi, in pasticceria?

Bisogna ritornare alle origini, che io non ho mai abbandonato. Le origini del prodotto, di come si fa e lavora. Faccio questo mestiere perché mi piace, ecco perché non capisco perché dovrei prendere un prodotto semilavorato e metterlo nella mia vetrina. Mi sento un’artigiana nel vero senso della parola.

La pasticceria è tecnica allo stato puro. Vero?

Vero. La tecnica la ritrovi anche nel modo in cui fai il tuo magazzino o approvvigioni la materia prima. Lavoro tantissimi prodotti diversi, solo a colazione tra dolce e salato parliamo di 20 tipologie, senza considerare l’imbustato e ciò che vendo sull’e-commerce. Per fare questo o hai una tecnica di produzione che ti fa ottimizzare tempi e spazi, altrimenti non riesci a sostenerlo. La tecnica deve essere poi supportata da attrezzature all’avanguardia, sostenibili, che ci aiutano a risparmiare energia, per esempio. Il cerchio deve chiudersi: sfrutto il terreno in cui ho messo radici ma non posso ridargli veleno.

Che anno è stato il 2020 e che anno è il 2021?

Il 2020 è stato un anno disastroso non solo dal punto di vista economico. Ha dato però la possibilità a noi, a me di concentrarmi tantissimo. Ho tagliato molti rami secchi e abbiamo dato spazio a tante nuove cose. Potevamo avvilirci e invece siamo ritornati a “giocare”. Abbiamo investito nella formazione e poi abbiamo sperimentato. Dal 2021 uscirà vincitore chi ha sempre fatto bene, chi ha voglia di fare bene. Credo sia maturato anche il gusto, stando in casa a fare pizza e pane, la gente ha capito il lavoro che c’è dietro e l’importanza che hanno le materie prime.

Sono cambiati i gusti della gente durante questo strano anno?

Si, tantissimo. Ho scoperto nuovi clienti e poi la gente stando in casa, mettendo le mani in pasta, vedendo certi programmi si è in qualche modo acculturata. Per continuare a lavorare con il mio lievito madre, ho scelto di non metterlo mai a riposo, nonostante fossimo chiusi, senza asporto, né delivery. Quello che era nelle celle è stato devoluto, in parte, in beneficienza. Il lievito ho continuato a rinfrescato ogni giorno e la parte in eccesso l’appendevo in un sacchetto fuori dalla porta del laboratorio con su scritto “lievito sospeso”.

Cosa funziona oggi?

Sono legata molto alle fasce giornaliere dei prodotti, non lascio nulla al caso. La prima colazione la adoro, perché è il momento che dà il via alla giornata. Vivo i momenti scanditi dalle merende, dai dolci. Ho un laboratorio che funziona come un ristorante e in vetrina finiscono i prodotti legati alla fascia oraria e non perché sono stati prodotti e devono andare in esaurimento. 

a cura di Nadia Afragola - Photo Udalrigo Massimo per illy