Forse era inevitabile che, prima o poi, la guida che ha trasformato le tavole in costellazioni e gli hotel in sistemi di orientamento decidesse di volgere lo sguardo verso ciò che scorre nei calici. Non per aggiungere un’altra etichetta, ma perché il vino è la parte del racconto gastronomico rimasta troppo a lungo ai margini.
Il Grappolo Michelin non entra per classificare bottiglie. Entra per suggerire che l’origine conta, che la qualità non finisce davanti a un piatto ma comincia molto prima. E questo, chi lavora nelle cantine, lo ripete da anni.
Per oltre un secolo Michelin ha indicato dove si mangia bene, poi ha spiegato dove si dorme con cura. Adesso compie un passo diverso e apre un capitolo che modifica nuovamente la mappa. Nonè un gesto cosmetico. È il riconoscimento che il vino, oggi, è un linguaggio tanto decisivo quanto la tecnica in cucina. Un mondo ricco, competente, ma spesso frammentato, dove guide, critici e sistemi di valutazione parlano dialetti diversi. Chi frequenta fiere e degustazioni lo sa bene, a volte, sembra che ogni banco racconti un Paese diverso.
Il Grappolo Michelin
Il sistema è semplice sulla carta: uno, due o tre Grappoli. Ma dietro quella scala c’è un messaggio preciso la qualità non è un colpo di fortuna ma una responsabilità ripetuta nel tempo. Per questo accanto ai tre livelli nasce una categoria preliminare, selezionato, che fotografa le realtà solide, già in cammino, ma non ancora pienamente compiute. È una soglia, non un premio. E chi è nel settore sa quanto possa durare quella soglia.
La metodologia segue la stessa logica delle Stelle e delle Chiavi. Non opinioni personali, non consulenti esterni, non entusiasmi del momento. A valutare saranno ispettori interni, professionisti che conoscono vigne, cantine, vinificazioni, e che decidono in modo collegiale. Non si giudica una singola annata, ma la capacità di un’azienda di restare fedele alla propria identità anche quando il clima, il mercato o la natura remano contro. È in quella costanza che si riconosce l’eccellenza. Il resto è fortuna o marketing.
Il Grappolo parla a tutti, non solo agli addetti ai lavori. Nasce per offrire un riferimento immediato tanto al neofita curioso quanto a chi si orienta da anni tra terroir, vitigni e stili. Una bussola, non un albo d’onore.Se avesse voluto essere un premio, avrebbe scelto un altro nome.
Il debutto nel 2026
Il debutto arriverà nel 2026 e non parte da un luogo qualunque. Michelin mette alla prova il suo metodo nei due territori che più hanno modellato l’immaginario mondiale del vino la Borgogna e Bordeaux. Se funziona qui, dove il passato pesa quanto il presente, allora funzionerà ovunque.
Questa nuova distinzione non cambia la natura della guida. Ne allarga il raggio. Se ieri Michelin raccontava tavole e camere, oggi riconosce che l’esperienza gastronomica comincia nei filari. Il gusto non nasce in sala, si prepara nella terra. Il Grappolo non celebra una bottiglia, ma la visione di chi decide come farla esistere.Il mondo del vino è stato a lungo un territorio con molte voci e pochi arbitri.
Non serviva un’altra opinione. Serviva un segnale. Adesso c’è. E da oggi ignorarlo sarà più difficile. Anche per chi, fino a ieri, pensava che bastasse il colore nel bicchiere.
Foto: PxHere
a cura di Federico Lorefice


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