Grande Cucina

L’Alfabeto di Ellegì di Licia Granello. C come Coppia, chef e sommelier

C’erano una volta i cuochi. Relegati in cucina, a meno che non fossero anche i proprietari del ristorante. E poi c’era il responsabile di sala, eletto a direttore nel caso di locale blasonato, che si occupava per intero del rapporto col cliente, bevande comprese. E le bevande comprendevano il vino, of course.

Negli anni, il lavoro della cucina, quello della sala, il mondo del vino e tutte le competenze annesse si sono evoluti insieme alla società.

La ristorazione “generalista” di un tempo ha lasciato via via spazio a una somma di mestieri specifici. Ruoli sempre più affinati e ritagliati a misura di chi li interpretava.

I nuovi ruoli

Oggi le brigate, al di là di gradi e gerarchie, comprendono sempre più spesso un cuoco altro, che cuoco non è.

Se chiedete a un pasticcere di autodefinirsi, non userà mai la parola chef. Semplicemente perché non lo è. Anche qui esiste una figura altra, ed è quella del/la sommelier. Che sta alla sala esattamente come il pasticcere sta alla cucina: dentro e contemporaneamente un po’ discosto rispetto alle dinamiche del gruppo.

Questione di armonia

Impossibile che un ristorante funzioni bene se le coppie più o meno allargate di cucina e sala non sono in sintonia. Ma quella trasversale, tra chef e sommelier, è la più importante di tutte. Un’armonia dovuta, tanto più necessaria quanto più è alto il livello del locale.

Mai come oggi, nella ristorazione post-pandemia il delicato equilibrio gastro-economico di un locale si rivela come un gioco di specchi tra chi propone i piatti e chi gli abbinamenti alcolici (soprattutto). Chef & sommelier, appunto.

Il modello australiano

Vent’anni fa, mentre in Italia ancora si stentava assai ad aprire le porte delle cantine, nella Barossa Valley gli appassionati si spostavano con i wine trains da una casa vinicola all’altra, assaggiando e confrontando comodamente seduti all’interno di vagoni adeguatamente arredati, intitolati a Cabernet, Shiraz e Pinot Noir…

Il produttore più famoso e acclamato, Penfold’s aveva fatto un passo in più. L’azienda, infatti, oltre a percorso di degustazione e wine shop, ospitava un ristorante di alta gamma, il Real Estate.

All’inizio di ogni mese, la coppia chef-sommelier metteva a punto un menù-degustazione abbinato ai diversi vini prodotti. Si andava da Merlot corretti e beverini al mitico “Grange”, Shiraz in purezza considerato il Petrus del nuovo mondo. Una proposta che funzionava magnificamente.

Dopo tutti questi anni, noi ancora fatichiamo e mischiare le due competenze.

Il pas de deux

Certo, si può sempre bere Champagne a tutto pasto, oppure Gin Tonic, come succedeva al Bulli, dove la lunghissima sequenza piroettante delle portate non ammetteva abbinamenti possibili. Ma la nostra cucina è diversa e diverso è l’approccio al cliente.

Non occorre arrivare agli estremi di Enrico Bernardo, geniale sommelier campione del mondo capace di aprire un super ristorante nel cuore di Parigi dove abbinare i piatti in funzione dei vini scelti.

Mettere in bolla i palati, facendo coincidere i punti forti di cucina e cantina non è semplice. Il pas de deux enogastronomico prevede grande affinità di visione e una certa creatività. I risultati, in compenso, possono essere mirabili. I piatti ne escono esaltati, i vini degustati al loro meglio, i clienti sorpresi e felici.

L’esperienza

Succede a patto che chef e sommelier si confrontino non solo per i listini-prezzi, le giacenze di cantina e la gestione delle bottiglie ai tavoli.

Dai trionfi dell’Enoteca Pinchiorri in poi, abbiamo capito che si possono proporre percorsi “di coppia” anche a livelli meno fantasmagorici. Ma occorre che gli chef comincino a metterci la faccia seriamente.

Non per sostituirsi ai sommelier. Al contrario, per supportarli, offrendo la sponda golosa alle loro intuizioni alcoliche, così da allargare “l’esperienza” – come esigono i nuovi tempi – del ristorante.

Foto. Adobe Stock

a cura di Licia Granello