Nel 2025 il mondo del vino si muove su linee più sottili. I numeri oscillano, i mercati cambiano direzione, i comportamenti d’acquisto si fanno più selettivi. Non è una crisi, ma una trasformazione.
Si beve in modo diverso, si scelgono momenti e contesti diversi, e la qualità torna a essere una questione di sostanza, non di marketing.
A rallentare sono le produzioni più generaliste, quelle che negli ultimi anni avevano puntato sul volume più che sul valore. A resistere, e in alcuni casi a crescere, sono le aziende che hanno saputo definire con chiarezza la propria identità, lavorando su distribuzione, selezione e coerenza.
È lì che oggi si gioca la vera partita: non su quanto si vende, ma su come si racconta ciò che si produce.
Chi riesce a costruire un rapporto solido con il mercato non lo fa inseguendo le tendenze, ma curando la continuità. Lavorando sul tempo, sulle persone, sul modo di stare nel mondo del vino.
In questo senso, il Barolo continua a parlare una lingua diversa. Non solo perché rappresenta una delle denominazioni più riconosciute al mondo, ma perché riesce ancora a rinnovarsi restando sé stesso. A differenza di molte altre categorie, non ha bisogno di reinventarsi: gli basta approfondire.
È il caso della Cantina Damilano, una delle voci più solide delle Langhe. Alla presentazione ospitata da Casa Cipriani Milano, la famiglia ha portato in degustazione le nuove annate dei Barolo DOCG 2020 e 2021, insieme alla Riserva Cannubi “1752” 2018. Ma l’evento non è stato solo un racconto di vini: è stato un racconto di passaggi, di generazioni, di visioni che cambiano.

Accanto ai grandi cru, sono infatti entrate ufficialmente in scena Chiara Damilano e Alice Battistel, due giovani donne che rappresentano la quarta generazione della famiglia. Chiara, 28 anni, guarda ai mercati esteri, dove il Barolo parla ormai una lingua universale. Alice, 23, segue la parte di hospitality e degustazione, portando un approccio più esperienziale e diretto. Due ruoli diversi, ma uniti dalla stessa idea di fondo: il vino come racconto vivo, fatto di incontro e relazione.
La degustazione è stata costruita come un percorso dentro la memoria delle Langhe. Dai cru Raviole, Brunate, Liste, Cerequio e Cannubi, sono emerse le sfumature di un vitigno che non smette di rivelare nuove dimensioni. Il Nebbiolo di Damilano è preciso, elegante, privo di effetti scenici. Ogni annata è pensata come un tassello di una storia più ampia, dove il territorio è il punto di partenza, non il punto d’arrivo.
Il momento più intenso è arrivato con la Riserva Cannubi “1752” 2018, servita senza abbinamenti gastronomici per permettere di coglierne appieno la profondità. Nasce da vigne ultracinquantenarie nella parte più alta del Cannubi, dove le marne, l’argilla e la sabbia disegnano un equilibrio naturale tra struttura e finezza. Sessanta mesi di legno e due anni in bottiglia danno forma a un Barolo che non si impone, ma si lascia ascoltare. Nel bicchiere, più che potenza, si sente respiro.
Il titolo dell’evento, Il tempo del Barolo, riassume perfettamente il senso di tutto questo. Perché qui il tempo non è solo ciò che passa, ma ciò che rimane. È la misura di un lavoro che si tramanda, di una cura che non si interrompe. Ogni generazione aggiunge un tassello, cambia la prospettiva, ma resta fedele al centro.
In un mercato che alterna accelerazioni e pause, Damilano dimostra che il futuro del vino non appartiene a chi rincorre i trend, ma a chi costruisce coerenza.
Non serve moltiplicare le etichette, serve dare significato a ogni vendemmia.
E così, tra nuove annate e nuove generazioni, il Barolo continua a essere ciò che è sempre stato.
Un dialogo tra chi produce e chi ascolta. Tra chi custodisce e chi rinnova.
Il tempo del Barolo non è solo quello che passa, ma quello che rimane. Nei vini, nei gesti, nelle persone che li fanno vivere.
a cura di Federico Lorefice


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