
Un fatto di cronaca degli ultimi giorni ha riportato al centro una domanda che riguarda da vicino chi lavora nella ristorazione: che fine ha fatto il rischio imprenditoriale?
L’episodio, accaduto in un ristorante del milanese, ha visto alcuni clienti allontanarsi senza saldare il conto. Fin qui nulla di nuovo, purtroppo. Ma a fare notizia è stata la reazione del titolare, che ha dichiarato di aver chiesto al cameriere di coprire la cifra, in quanto responsabile del tavolo in questione. Il tema è stato ripreso da diversi quotidiani nazionali.
Al di là del caso specifico, vale la pena fermarsi un attimo. Non per giudicare ma per ragionare.
Il settore della ristorazione è fatto di molte sfide: margini ridotti, imprevisti quotidiani, carenza di personale, dinamiche complesse tra sala e cucina. È naturale cercare strumenti per controllare ogni fase del servizio. Ma quando si arriva a trasferire sul singolo dipendente il rischio economico legato a comportamenti esterni (in questo caso, quelli dei clienti) forse è utile tornare a porsi qualche domanda sul funzionamento complessivo dell’impresa.
Esistono responsabilità individuali, certo. Esistono errori, leggerezze, mancanze. Ma c’è anche un quadro giuridico e contrattuale che definisce ruoli, tutele, limiti. E soprattutto, c’è un principio base: il rischio d’impresa ricade su chi l’impresa la conduce.
Non è una questione morale. È un fatto tecnico, prima ancora che culturale. Non spetta al personale operativo rispondere direttamente di comportamenti non prevedibili da parte dei clienti. Il titolare ha strumenti per tutelarsi: organizzazione, tecnologia, formazione, assicurazioni. Delegare la gestione del rischio a chi lavora al servizio dei clienti può sembrare una scorciatoia, ma raramente lo è.
Ristorazione e rischio imprenditoriale: parola a Roberto Carcangiu
Su questo punto arriva anche la voce di Roberto Carcangiu, chef e formatore, che sintetizza così una situazione che molti conoscono da vicino:
“Chi finisce davvero per pagare quando un locale inciampa? Spesso siamo noi cuochi e camerieri, presi in castagna dai ritardi salariali o costretti a coprire le fughe dei clienti. È la conseguenza di imprenditori ‘mestieranti’ che, senza esperienza né capitale, trasformano il mestiere in campo di battaglia anziché in squadra.”
E ancora:
“In altri settori la paga è oraria e i diritti sono codificati e soprattutto monitorati affinché non ci siano problemi. Perché qui no? Perché un cuoco è giudicato da chi non ha mai acceso un forno, e un cameriere rischia di vedersi scalare la busta paga per un insoluto?”
“Serve un cambio di passo, basato su: contratti standard che riconoscano ruoli e tutele, formazione continua per alzare professionalità e credibilità, garanzie legali e strumenti assicurativi contro insoluti, sindacati di categoria o reti di sostegno per far valere i diritti. Solo uniti, con competenza e determinazione, potremo trasformare sacrificio e talento in gratificazioni concrete e certezze di diritto.”
Questo episodio, uno tra tanti, ci ricorda che la vera sfida oggi, in ristorazione, non è solo il food cost o la prenotazione dell’ultimo minuto. È chiarire chi fa cosa, con quali strumenti, e su quali basi di responsabilità si costruisce un’impresa.
Tutelare l’impresa significa anche tutelare le persone che la fanno funzionare ogni giorno. E sapere distinguere tra un errore interno e una situazione imprevista può fare la differenza tra una gestione solida e una reazione di impulso.
La domanda resta: il rischio imprenditoriale è ancora parte del mestiere, o si sta cercando di farlo evaporare, scaricandolo altrove?
Foto: Pexels
a cura di Federico Lorefice
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