Ad Artimino, certe cose non cambiano mai: la villa medicea La Ferdinanda che guarda dall’alto, il vento che sale dal Barco Reale, la luce che rimbalza su quelle vigne che da secoli raccontano storie prima ancora che vini.
Eppure, oggi la Tenuta sta attraversando una fase di trasformazione profonda. La famiglia Olmo, alla guida dal 1989, ha scelto di ripensare la propria identità enologica partendo dal principio più semplice e più difficile: ascoltare la terra. Tra il 2022 e il 2025 è andato in scena un lavoro titanico di zonazione – tre anni di studio scientifico del suolo, mappature satellitari, carotaggi, microvinificazioni – affidato al Prof. Attilio Scienza, al Dott. Luca Toninato e al pioniere della zonazione italiana Stefano Pinzauti. Parallelamente, l’arrivo dell’enologo più noto d’Italia e non solo, Riccardo Cotarella, ha intensificato le vinificazioni sperimentali per verificare in cantina ciò che la vigna suggeriva e per “produrre vini che siano espressione autentica del terroir, distinguibili al primo sorso”, come ha sottolineato. Un lavoro che ha portato all’identificazione di un clone peculiare della tenuta; l’intenzione è di battezzarlo proprio con il nome di Artimino una volta terminate le sperimentazioni e gli accertamenti.
Da questo incrocio di scienza, esperienza e sensibilità nascono cinque Cru, ribattezzati “diversamente autoctoni”. Monovarietali che parlano lingue internazionali, ma che ad Artimino cambiano accento, struttura, persino carattere: Custode delle Tele, un Sauvignon Blanc, Moreta, Sangiovese, Poggipié, Cabernet Franc, Punto Ombra, Chardonnay, e Vediavoli, Merlot.
La degustazione di Artimino

Guidata da Riccardo Cotarella, la degustazione ha mixato alcuni dei nuovi autoctoni ai vini classici della tenuta di Artimino, partendo da un concetto base che ha ispirato il lavoro di zonazione: “Non si parte dal vitigno, si parte da dove sei. Non si può dire semplicemente Sangiovese ma partire, come fanno bene i francesi, dal territorio, che arriva prima di tutto”.
– Artumes 2024 Toscana Bianco IGT: Trebbiano, Petit Manseng
Profumatissimo di fiori bianchi e pesca tabacchiera, una bevibilità sincera e una nota acida tesa, con un accenno al miele d’arancia. Pulito, diretto, ben fatto, semplice ma non banale, un vino che invoglia al secondo sorso.
– Custode delle Tele 2023, Sauvignon Blanc Toscana IGT
Dal vigneto pedecollinare rivolto a est, è il bianco Sauvignon che sorprende: peperone, pomodoro fresco, note verdi affiancate da una più dolce e tropicale di papaia. Al sorso è più strutturato del precedente, con grande personalità, sapido, personale, un bianco riconoscibile. “La freschezza qui non la inventi: ti arriva dal suolo”, commenta Cotarella.
– Chianti Montalbano Riserva DOCG
Un trionfo del Sangiovese nella sua veste più identitaria: ciliegia, frutta sotto spirito, prugna matura, tabacco, tostatura, una pennellata di origano e una grande freschezza finale. Al palato è vellutato e morbido, ma senza perdere grinta.
– Moreta 2022, Sangiovese Toscana IGT
Il cru rosso più “territoriale”, quello creato dal clone di Sangiovese proprietario, dove si sente la macchia mediterranea che circonda il vigneto insieme a profumi di frutti rossi croccanti, con più intensità che dolcezza. Longilineo, fresco, teso “in una parola: il Sangiovese più identitario della tenuta”, chiosa Cotarella.
– Grumarello 2020, Carmignano Riserva DOCG
Blend storico di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc: arancia rossa sanguinella, profumo di sottobosco, ribes, miele, viola e sentori balsamici. “Un vino che è intriso della nostra storia”, ha spiegato Annabella Pascale, Ceo di Tenuta Artimino “ingiustamente sottovaluto, anche perché a produrlo siamo davvero in pochi, non è facile promuoverlo, ma stiamo lavorando per restituirgli la dignità che merita”.
– Poggipiè 2022, Cabernet Franc Toscana IGT
Il vigneto rivolto a sud tra calcari e marnosi regala un Cabernet Franc fine e potente: la dolcezza della mora, una speziatura elegante, il tocco classico di grafite. Il sorso è strutturato, con tannini fitti e un’acidità verticale che tiene tutto insieme, ed è promessa di grande longevità. “Un vino che non ha fretta, e fa bene a non averne”, chiosa Riccardo Cotarella.
– Vin Santo Occhio di Pernice 2015, Sangiovese, Trebbiano, San Colombano
Un classico amatissimo, quasi una rarità ormai perché prodotto in piccole quantità. L’Occhio di Pernice è un vin santo creato con almeno il 50% di uve a bacca rossa che qui, com’è ovvio, sono quelle del Sangiovese. Il naso è ricchissimo di fichi secchi, scorza d’arancia candita, frutta secca. Ma grazie alla freschezza del Sangiovese, anche nell’annata 2015, dopo dieci anni di bottiglia, non è mai stucchevole e conserva una beva che permette abbinamenti anche con piatti salati.
Una nuova stagione
I Cru sono la visione; i Classici sono la memoria.
E in mezzo c’è la Tenuta che cambia, sostenuta dalla ricerca agronomica, dai 730 ettari di boschi, vigne e oliveti e da un’identità che finalmente torna a essere letta con precisione scientifica e sensibilità contemporanea. A fianco, cresce l’hospitality, da sempre parte importante della tenuta, con il recente ingresso nel gruppo Melià.
In apertura: foto Alessandro Moggi
a cura di Barbara Sgarzi


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