Milano e i suoi angoli più suggestivi hanno fatto da sfondo ai festeggiamenti per i 30 anni di AMPI (Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani).
La due-giorni meneghina è cominciata con un tour su un tram storico: ad ogni fermata del mezzo (uno dei pochi in circolazione, complice lo sciopero dei trasporti) una squadra di pasticceri in divisa ha distribuito delle monoporzioni celebrative del trentennale al pubblico, addolcendo il loro pomeriggio. Inutile dire che i milanesi hanno risposto entusiasticamente all’iniziativa che ha portato l’alta pasticceria direttamente nelle loro mani.
La sera invece, è stata la volta della cena di gala realizzata da Giancarlo Morelli, che si è svolta nel suggestivo contesto della Galleria Meravigli, in pieno centro storico. Oltre ai membri di AMPI, il parterre vantava il gotha delle aziende e degli opinion leader del settore (da Davide Oldani a Roberta Schira, solo per fare due esempi) e alcuni pasticceri stranieri che hanno voluto rendere omaggio ai 30 anni di AMPI.
Nel suo discorso il Presidente AMPI Sal De Riso, ha voluto sottolineare gli enormi passi che ha compiuto AMPI in questi anni e il suo ruolo nel promuovere tutta la pasticceria italiana. Accanto a lui il comitato direttivo di AMPI.
La seconda giornata del XXVII Simposio pubblico AMPI si è svolta nella cornice della Fondazione Prada e ha visto tre diversi momenti.
Il primo è stata una introduzione del direttivo di Accademia Maestri Pasticceri Italiani: Sal De Riso, Santi Palazzolo e Paolo Sacchetti. Insieme, hanno ribadito l’intento di AMPI di contribuire alla crescita del comparto, “sia comunicando al grande pubblico l’importanza di un’accademia come la nostra, sia fra di noi per stimolare la crescita vera, che non sta nell’autocelebrazione ma nel confronto delle competenze. Perseguiamo con tenacia l’attuarsi delle eccellenze, perché la pasticceria italiana se lo merita”.
Il laboratorio dello stupore in AMPI: l’estetica di Riccardo Monco e Sadaru Aoki
Questo il titolo del secondo momento, che ha riguardato la mattinata. Quattro el parole chiave: estetica, etica, contaminazione e artigianalità. Una coppia di grandi interpreti internazionali – professionisti e aziende – che hanno portato la propria storia di successo e la proprio filosofia produttiva e creativa.
Si parte con Riccardo Monco di Enoteca Pinchiorri e il pasticcere giapponese di base a Parigi Sadaru Aoki. Insieme hanno declinato il proprio concetto di estetica oggi, legata a forme e colori ma soprattutto al nostro tempo. Dice Monco: “Siamo i figli del tempo che viviamo; essere sempre moderni e attuali ci permette di sviluppare un certo intuito. Bocuse ha inventato la nouvelle cuisine e questo è stato fino ai Fratelli Adrià, con la cucina “tecno-emozionale”. Il nostro apporto alla cucina attuale è l’attualità, fatta di confronti, viaggi, esperienze e vita contemporanea”. Una attualità che si avvale della migliore tecnica, ma sempre al servizio di territorialità e identità, altri temi fondamentali.
Una identità che Aoki ha ibridato con la cultura francese, le sue ispirazioni e la sua importante relazione con il dolce: “Quando sono arrivato a Parigi avevo vent’anni e allora non c’era molta cultura del cibo giapponese. Ho iniziato a portare alcuni dei più importanti prodotti nipponici e volevo dare i colori più belli possibili, ispirato dalla moda dalla città. La stampa l’ha apprezzato ed è arrivato il successo. Se fossi rimasto in Giappone non avrei cambiato la mia testa come ho fatto andandomene. Qui ho imparato nuove tecniche e forme, così come il montaggio dei dolci il più semplice possibile. Io adoro i dolci tradizionali francesi, ma ho aggiunto un piccolo tocco giapponese” conclude.
Oltre l’estetica, però il prodotto deve avere un gusto perfetto ed essere “sano”. Una salute che passa attraverso la ricerca di informazione da parte del cliente e che ha portato a nuove ricettazioni più leggere, unite a porzioni più contenute.
L’etica oltre lo storytelling di Norbert Niederkofler e Christine Ferber
Hanno in comune un rapporto stretto con la natura e la valorizzazione assoluta del territorio. Lo chef e la pasticcera diventano i custodi della natura che li circonda.
Il lavoro di Ferber, famosa in tutto il mondo per le sue marmellate e confetture, va oltre la semplice pasticceria e parte dalla coltivazione diretta della frutta. “Questo è un lavoro? – si chiede sorridendo – Non credo. È fare una cosa e portarla il più oltre possibile, nel nome della fiducia che chiediamo ai nostri clienti. Quanto tornano mi riempiono di una energia incredibile, che nutre la mia passione, uno degli ingredienti fondamentali per me. Siamo famosi nel mondo ma ci teniamo a restare una “petite maison” e ho potuto così avere la libertà di lavorare dolcemente materie prime che lo richiedono e che non vanno sublimate perché sono già sublimi”.
Niederkofler ha fatto da sempre e oggi più che mai la scelta di utilizzare solo i prodotti della montagna. “Quando abbiamo deciso di eliminare tutti i prodotti che non venivano dalla montagna abbiamo preso la terza stella. Una scelta molto radicale, fatta con ragazzi giovani (per me lavoro si squadra con i giovani è fondamentale). Perché questa scelta? Andando in giro per il mondo, ho detto: ci siamo dimenticati dei clienti. Perché vengono da noi? Per l’aria, le montagne e il cibo. Allora stiamo sbagliando tutto”.
Hanno quindi scritto le regole molto rigide di “Cook the mountain” e poi ci siamo divertiti insieme. No olio di oliva, no agrumi, no verdure di serra; animali comprati interi e lavorati in ogni parte, per rispetto”. Per fare questo, però, serve avere una grandissima formazione classica. In pasticceria ancora di più, perché si devono fare dolci senza ingredienti “canonici”. “Abbiamo aperto la strada a nuove esperienze. I nostri viaggi ci hanno aiutato a creare una cucina nuova, insieme. Noi abbiamo oggi circa 30-40 produttori; una filiera che abbiamo costruito in 5 anni lavorando su latitudine e longitudine e tenendo presente climi e temperature. Non abbiamo intermediari, ma compriamo direttamente e il produttore oggi è la nostra grande star. Abbiamo rimesso in discussione il menu e abbiamo trovato grandissimi professionisti per ogni ingredienti. Non è solo storytelling, sono storie vere”.
La materia prima è un tema molto caro anche a Ferber, che continua a raccontare della sua simbiosi con il proprio territorio. “Lavoro ancora con dei produttori che da generazioni coltivano i frutti per me. Ma è la natura che decide: quest’anno è stato difficile, con poca acqua e poca produzione di alcuni frutti. Pazienza, facciamo con quello che c’è, quanto ce n’è. E lo spieghiamo ai nostri clienti e ai nostri venditori. Tutti comprendono l’integrità del nostro lavoro”.
Anche in questo caso, un aiuto viene dalla tecnologia, che diventa alleata della natura, come afferma Niederkofler: “Partendo dalla natura, devi capire come lavorare i prodotti lasciandoli il più vicino possibile a essa. Chiudendo molte porte, ci siamo messi in gioco e abbiamo dovuto imparare metodi e tecnologie nuovi, ma a partire dal classico. Ad esempio, tutte le nostre cotture sono sul fuoco, alla brace”.
Andrea Menicatti e Davide Oldani: contaminazioni generazionali
Davide Oldani, dopo una formazione classica in Francia, torna in Italia con una idea ben prcisa: la sua cucina pop, con ingredienti meno aristocratici. È una rivoluzione, l’idea che il bello, il buono e l’eccellenza siano accessibili e democratici. Senza rinunciare a nulla.
Andrea Menicatti, invece è giovane ma portavoce di una insegna storica milanese Marchesi 1824. E proprio le generazioni e il loro lavoro insieme sono il filo che collega queste due realtà solo apparentemente diverse.
Dice Oldani, che ha portato il suo progetto ad Harvard e a Parigi: “La crescita è l’elemento che ci fa crescere come squadra. Con l’innovazione e la freschezza dei giovani la squadra è quasi perfetta. Il capitano porta avanti il progetto, ma non è sopra agli altri. Il mio spirito di squadra e sportivo mi hanno aiutato, così come l’esperienza in Francia. Ora si può fare un altro passo: l’appartenenza alla “maglia”, in senso positivo. La cucina pop è nata come metodo democratico di affrontare la cucina”.
Come far convivere artigianalità e grandi numeri: Patrick Roger e Pierpaolo Ruta
Innovativo, creativo il primo, custode della tradizione all’Antica Dolceria Bonajuto il secondo. Cosa li unisce? Una cura maniacale per il prodotto e una innovazione sempre costante, che passa attraverso due elementi chiave: le persone e la tecnologia. Questi due elementi permettono a entrambi di produrre in grandi numeri mantenendo una qualità altissima, artigianale, conosciuta e amata in tutto il mondo. Dice Ruta: “Prendere un fossile gastronomico e cercare di riportarlo in un mondo che si muove a un’altra velocità è stata una impresa importante per noi. A Modica le nonne facevano il cioccolato a casa, quasi un unicum in Italia e nel mondo. Mi auguro che rimanga la città che profuma di cioccolato”.
Una componente umana essenziale, così come la tecnologia, anche per Roger: ”La tecnologia unita alla componente umana dei coltivatori è fondamentale per il mio cioccolato. I grandi numeri – lui produce 6 milioni di prodotti in cioccolato all’anno – possono essere fatti con grande qualità. Io sono contro le frontiere. Le ricette nuove nascono lavorando e dal mio gusto, dal mio metabolismo. Come per l’amore”.
Gli fa eco Ruta: “La rete ha permesso a chi coltiva il cacao di parlare con chi lo produce. Le tecnologie hanno aiutato le ricerche e la consultazione degli archivi. Questo può originare sperimentazione oggi. Essere tradizione non è essere fermi ma in continua ricerca e stimolo: così avvengono cose bellissime. Oggi produciamo quasi 800 mila tavolette; abbiamo puntato sui giovani e il patrimonio umano, cercando di creare un clima che da 3 ci ha portati a 30 collaboratori. Una squadra giovanissima e multiculturale. Per cambiare forma abbiamo studiato, poi decostruito, poi reinterpretato ai nostri giorni. Ad esempio bilanciamento zuccheri e porzioni sono cambiate molto. Attingere per reinterpretare e riproporre nel proprio territorio, come con il nostro guscio di pralina, che era impensabile fino a poco tempo fa. La tecnologia ci ha aiutato nel realizzare quello che volevamo ottenere; anche grazie ad essa è stato possibile avere innovazioni importanti”.
Coltivare la diversità
La sostenibilità è stata protagonista assoluta in questa mattinata di Simposio. Lo abbiamo letto nei “custodi della natura” Niederkofler e Ferber e nella sostenibilità sociale di Oldani. Lo ribadisce Roger, che lavora da tempo per la salvaguardia delle api: “Siamo in un mondo in pericolo e se non preserviamo cosa può succedere? Tutta la nostra filiera può servire a mandare dei messaggi, possiamo salvaguardare ognuno un piccolo pezzo”. A salvaguardare il patrimonio degli agrumi ci pensa l’ultimo ospite della prima sessione: e Laurent Boughaba, de L’Agrumiste. Dal mondo immobiliare, si innamora dell’universo degli agrumi: cercarli, selezionarli e diventare un garante della biodiversità e un custode di specie altrimenti perdute o quasi. Racconta: “Ha piantato 100 mila alberi in 4000 varietà”.
Il pomeriggio del XXVII Simposio pubblico AMPI
Durante la terza e ultima sessione, gli Accademici hanno assistito a una vera e propria masterclass di marketing e personal branding, con una conclusione più di taglio economico. Dati attuali di mercato e studi condotti da esperti del settore: Eugenio Puddu, partner Deloitte Italia; Francesco Buschi, Head of Strategy FutureBrand e Paolo Melone, Senior Director Coordinamento Marketing e Business Development Imprese Intesa Sanpaolo. Titolo della sessione: “Guardare oltre”.
Il prossimo progetto di AMPI
È Carla Icardi a svelare la nuova avventura dell’Accademia: “È nel dna di AMPI che gli slogan diventino progetti reali. Così eccoci al grande pubblico in una serie dedicata al mondo del dolce, con i maestri. Ci trovate dal 10 dicembre su SKY1, “Accademia di pasticceria”.
a cura di Atenaide Arpone e Alessandra Sogni
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