Grande Cucina

Identità senza frontiere

Viaggio, incontro, contaminazione, evoluzione. Nell’ultima edizione dell’International Chef Congress i sapori si fanno globetrotter

(di Cristina Viggè - foto di Carlo Fico)

“Il vero viaggio è per raggiungere, non per scappare. E per ricordare chi siamo”, docet Giovanni Santini, aprendo – sulla ribalta dell’aula magna – la tredicesima edizione di Identità Golose. Così il figlio di madame Nadia, in un passaggio di gene in genio, svela il bello del partire e la piacevolezza del tornare. Ascoltando il richiamo della terra. Anzi, della campagna. Quella di Mantova, cornice del tristellato ristorante di famiglia: Dal Pescatore. Un paesaggio country al quale dedica un “orto” gourmet capace di guardare vicino e lontano, fra carote, mousse di melanzane e burrata, branzino e zenzero. Un piatto-fiore in cui i gusti, come petali, si inseguono ripetendosi. “Perché l’emozione ha anche bisogno di conferme”, spiega lo chef.

E dopo la raffinata ruralità arriva l’eleganza marina di Philippe Léveillé del Miramonti l’altro di Concesio (nel Bresciano). Fiero di creare un piatto che fa incontrare formaggio e mare. Alla base? Acqua di mozzarella, sale e plancton. Sopra? Cozze, vongole e ostriche – del resto, lui è nato in Bretagna, a Cancale. E per finire? Mozzarella frullata, galletta e burro alle alghe rosse. Per non tradire il lato burroso e sensuale della sua cucina. Mentre fa virare il localissimo Fatulì della Val Saviore verso Oriente, abbracciando pasta al tè nero affumicato e crema all’aglio nero fermentato. Intanto, Francesco Apreda del capitolino Imàgo fa decollare il pecorino, protagonista, insieme al latte di cocco, di gnocchi alla romana vestiti di nipponico panko e incorniciati da radici passate al wok. Apreda che, non pago, prepara rigatoni al pesto (di shiso) e amatriciana, impreziositi da un blend di spezie (alga nori, semi di coriandolo, wasabi, yuzu e pepe sancho) creato ad hoc. Perché è la contaminazione a nutrire l’evoluzione.

“Per noi le frontiere non esistono. Esiste il mondo”, ribadiscono i Pellegrini Bros, Floriano e Giovanni: giovanissimi (rispettivamente 21 e 26 anni), bravissimi, endemicissimi. Pronti a mixare taranta, Salento e sangue, mettendo a punto un sanguinaccio royale dal “cervello” vagabondo. E Matteo Metullio de La Siriola di San Cassiano? Loda il km vero, realizzando uno spaghetto freddo capace di contare 4.925 chilometri, fra pasta di Gragnano, scampi di Porto Santo Spirito, colatura di alici, basilico calabrese e olio affumicato al cirmolo. Per rammentare la montagna. E poi giunge Enrico Crippa con la sua teoria geocentrica della pasta. Che trasforma in una quasi paella (complici acqua di pomodoro, extravergine, polveri di peperone di Senise, di nero di seppia e di cime di rapa), facendole girare intorno calamaro e carciofi, costolette d’agnello e una lattuga asparago dalle nuance wild.

Incontri ravvicinati di diverso tipo a Identità. Per inediti crossover gustosi, fuori da ogni schema. E così l’acquavite Prime Uve Bianche di Bonaventura Maschio sposa umeshu, bitter alle rose e zest di lime all’ylang ylang per divenire un cocktail firmato dal bartender Marco Russo e abbinato al maialino nippo-med di Wicky Priyan. Mentre il limoncello by Villa Massa si lascia plasmare dalla mente di Flavio Angiolillo per abbandonare il ruolo di after dinner e diventare persino un amabile punch dai sapori fruttati.

Ha viaggiato il Grana Padano: fra le diverse stagionature. Viaggiano i formati del Pastificio Felicetti: fra Milano (con Carlo Cracco), Cape Town (con Giorgio Nava) e Tokyo (con Luca Fantin). Viaggerà Il Valentino, il neonato spaghettone del pastificio trentino. Tanto il passaporto ce l’ha valido per superare le frontiere del sapore. Segni particolari? Grano Senatore Cappelli, 2,4 mm di diametro e 14 minuti di cottura. Mentre pagnotte, ciabatte, pani con crosta, panini morbidi e gluten freen si fanno ambasciatori di un’alimentazione sana e gustosa. Figli di Petra (by Molino Quaglia) e di una nuova Bread Religion… senza confini.