Grande Cucina

Gianfranco Pascucci: una cucina oltre la linea dell’orizzonte

Il panorama gastronomico italiano della pasta ha ancora orizzonti da esplorare? Per un cuoco audace e appassionato la risposta è sì! Questo cuoco si chiama Gianfranco Pascucci e vi raccontiamo il perché

Gianfranco Pascucci corrisponde a entrambe le caratteristiche, con le sue ricette cerca di spingersi oltre la linea dell’orizzonte, tra cielo e mare: verso l’etere spazia la fantasia dello chef, ritorna poi a immergersi nell’elemento a lui più prossimo, il mare, per far riemergere ricette uniche che ne racchiudono tutto il ricordo.

Per farlo Pascucci non si accontenta di essere creativo e di piacere, prova a fare scelte coraggiose: solo pesce dei nostri mari e pesce di stagione.

Una cucina fatta con consapevolezza e con una forte identità, tale da portarlo a differenziarsi da chi fa cucina di pesce, quella più diffusa, legittimamente piaciona, e forse anche più facile. Definisce la sua una cucina di mare, ma non fa filosofia Pascucci, spadella, l’approdo finale è la gola ma ci arriva passando dal cervello e anche dal cuore: etica, ingegno e sapore.

Approdato per una settimana a Milano da Fiumicino, questo “cuoco di mare” presso Identità Golose Milano ha dato un saggio delle sue capacità, in uno degli appuntamenti di Identità di pasta, un’ora ad alto tasso di amido davanti a una platea attenta.

Con un semplice spaghetto al nero di seppia Pascucci ha l’ambizione di rievocare una passeggiata sulla spiaggia, realistica fino all’estremo, tanto da chiamare il piatto ‘Mare di plastica’, per una cucina che rievochi e denunci al tempo stesso. 

Cucina e cuochi hanno sempre più spazio mediatico e sociale, è allora giusto che si facciano carico anche di messaggi ‘alti’. Non solo cura degli ingredienti, ma anche delle persone, dell’ambiente.

Usa uno spaghettino Felicetti e provando la stessa ricetta con un formato di pasta diverso, cambia il risultato e le sensazioni finali in bocca. La scelta del formato non è solo una questione di estetica, ‘Le quattro paste’ di Marchesi non sono passate invano nella storia della ristorazione italiana.

Cucinare la seppia non è casuale, è il periodo in cui si pesca più facilmente. Pascucci mostra come imparare a usare tutte le parti del mollusco, un po’ come da tempo si fa già con la carne. Persino le parti attorno all’occhio possono venir usate per un brodo, assieme alle ali. Pascucci crea un infuso di seppia, dopo averla essiccata in forno per concentrarne il sapore e farlo poi rilasciare nel liquido. Nell’infuso cuocerà la pasta stessa, il sapore della seppia entra già nella pasta prima ancora di venir condita. Gli scarti tolti dal brodo, scarti ancora non sono: se hanno perso buona parte del sapore, conservano ancora una buona consistenza e nel pacojet, con aggiunta di poco burro, diventano essi stessi un burro di seppia.

Stimolato da una domanda di Paolo Marchi, anfitrione qui a Identità Milano, Pascucci disserta su cefalopodi e loro usi  in cucina, tra passione, profonda conoscenza della materia e poesia. Calamaro, seppia e totani, simili eppure diversi. La seppia si presta al crudo, con il calamaro condivide la caratteristica della termoresistenza. Quanto al totano, concentra e rilascia tanto sapore con sentori quasi di miele di castagno.

Ma è tempo di servire il piatto: dopo la cottura nell’infuso di seppia, lo spaghetto finisce in padella, Pascucci disegna una mantecatura col burro di seppia, la pennellata finale viene data dal nero. Volutamente alla fine, perché rimanga fresco e quasi crudo, una boccata iodata come un tuffo nel Mediterraneo.

La “plastica” sul finale, dopo la maionese di ostriche, fogli di obulato che fluttuano sopra il calore del piatto, come un sacchetto al vento vergognosamente abbandonato sul bagnasciuga, come sottili strati di Katsuobushii su un piatto di mare orientaleggiante.

Lo spaghetto al nero di seppia è un classico senza tempo: il nero è un colore che allontana istintivamente, un piatto che non è mai stato di moda per sua e nostra fortuna, secondo Pascucci, così la sua identità è rimasta intatta.

È solo la mano del cuoco, di volta in volta, che con piccoli tocchi firma il piatto senza tradire la ricetta, per poter dire già dalle prime forchettate, questo l’ha fatto Pascucci!

a cura di Roberto Magro