Il Pasticcere e Gelatiere

Il sommelier della frutta – intervista a Sergio Fessia

La selezione della materia prima è fondamentale, soprattutto – in gelateria – quella della frutta. Antica Corona Reale ha affidato questo compito essenziale ad un vero e proprio “sommelier della frutta”, una figura di spicco del settore: Sergio Fessia che ha fatto della ricerca della qualità un mestiere, una passione, un hobby, che lo porta lontano, ogni giorno, inseguendo la perfezione nel corpo gustativo di ogni singolo elemento.

Lo abbiamo intervistato per il Pasticcere e Gelatiere Italiano ed ecco l’intervista completa:

Di cosa di occupa un sommelier della frutta?

Di selezionare. Deve avere cultura dei prodotti locali ed essere concentrato su ciò che lo circonda, ma allo stesso tempo deve avere una visione globale e cercare di mediare tra le eccellenze nostrane e quelle che vengono da lontano, organizzando un’offerta improntata sulla stagionalità.

Se le chiedessi che lavoro fa?

Faccio il selezionatore di frutta e verdura. Quindi conosco molte cose, molti prodotti e se qualcuno mi chiede “voglio l’eccellenza”, sono in grado di accontentarlo.

Come è nata la collaborazione con Antica Corona Reale?

Sono di Bra, conosco l’azienda da quando era una trattoria, prima che Gian Piero la trasformasse in questa straordinaria realtà. Io faccio il mio lavoro, lui si occupa del suo, ed insieme facciamo qualcosa di buono. Una collaborazione nata con un rapporto umano, più che commerciale.

Qual è il suo raggio d’azione?

Lavoro dove c’è qualcuno che richiede la mia consulenza. Non percependo quello che faccio come un mestiere ma come un hobby, un gioco, una passione. Non mi pongo limiti nel mio raggio d’azione. Mi è capitato di guidare per 120 km solo per 10 kg di rape. Quello che mi muove è il piacere di vedere un ottimo prodotto curato, trasformato nel modo giusto e apprezzato.

Quanto vale il Made in Italy oggi?

Fuori dall’Italia lavoro con due realtà, una è Eataly a Monaco di Baviera, l’atra è all’interno delle Galeries Lafayette a Parigi. In entrambi i casi il Made in Italy è considerato top di gamma, ma non tanto per l’aspetto estetico, quanto per la sostanza. Riconoscono nell’imperfezione estetica un valore aggiunto e ne sanno apprezzare il sapore eccelso.

Come sta il settore dopo il lock down?

Gli eventi climatici sono stati favorevoli per la produzione, che non è stata eccessiva nella quantità, ma tutto sommato buona. La distribuzione invece è a macchia di leopardo. Nelle Langhe e nel Roero non ci si può lamentare, mentre a Milano la situazione è terribile. Manca la clientela, sopratutto a pranzo. E temo che si andrà avanti così fino a quando non troveranno un vaccino.

Quando si parla di biologico, quanta sostanza c’è?

Il mondo del biologico è diviso in due: ci sono personaggi magnifici che considerano il biologico come l’unica coltivazione possibile, non una scelta tra tante. Poi ci sono altre aziende, che hanno cavalcato l’onda degli incentivi economici per produrre un biologico industriale. Nel secondo caso si parla di produzioni che non guardano al gusto, al territorio e alle tipicità.

Il biologico è un lusso, però?

Il biologico non costa di più. O almeno, non tanto da spaventare. È naturale che nell’economia di un’azienda biologica il prezzo finale sia un po’ più alto, ma parliamo di un 10-20% in più, che già è sufficiente per compensare una minore produzione.

Come faccio a capire se un frutto è buono o artefatto?

Su ogni etichetta dovrebbero esserci la dicitura se il prodotto è coltivato in maniera idroponica o meno (fuori terra, solo con uso di acqua e nutrienti). Questo tipo di coltivazione taglia tutti quei nutrienti che si sviluppano in maniera naturale nella coltivazione a terra. Poi, bisognerebbe scegliere solo quei produttori che hanno mantenuto una dignità, ossia non hanno perso le tre basi fondamentali: il produttore deve essere padrone del suo seme, padrone delle metodologie di coltivazione e deve poter scegliere il suo acquirente.

Ci spiega meglio questo concetto?

Entrando nello specifico, parliamo della filiera dei prodotti “club”, dove c’è un’azienda che fornisce un albero, ti dice come e quanto produrre, e impone sia il prezzo di vendita che l’acquirente. Il produttore che si presta a questi contratti, sarà di sicuro più ricco, ma avrà perso in dignità. E allo stesso modo, è ugualmente pericoloso il sistema di registrazione dei prodotti, ossia la proprietà su un determinato DNA di un frutto. Il che significa che per produrre una determinata tipologia, devo rivolgermi direttamente ed esclusivamente alla società che l’ha registrato.

Ci fa degli esempi?

Nel 1990 in Canada un ramo di un melo che produceva la tipologia Gala, inizia a dare una mela particolare, più tonda. Il contadino prende il ramo, lo innesta su altri alberi, e crea quella che diventerà la mela Ambrosia. Successivamente vende la proprietà di quel DNA ad un’azienda, la quale attualmente ne detiene l’esclusività. Il che significa appunto che chiunque voglia produrre quella varietà, deve rivolgersi necessariamente a loro. Siamo passati da un mondo in cui una mutazione genetica naturale o un’invenzione diventava un bene comune, a uno in cui diventa una proprietà privata. Per avere il polso della situazione da questo punto di vista, basta visitare la fiera annuale Fruit Logistica a Berlino e vedere quanti prodotti riportano una “R” accanto. Quelle sono le varietà di cui qualcuno detiene l’uso esclusivo. Il giorno in cui tutti i prodotti saranno registrati, avremo un mondo in cui si lavorerà solo al servizio delle grosse aziende, a bassissimi costi, e dove la qualità sarà un aspetto marginale. Nel 1860, dalle mie parti, un contadino si accorse che il suo albero di pere Martin (una qualità che ha una resa davvero minima), aveva iniziato a produrre dei frutti molto più grandi. Il contadino prese quel ramo e lo innestò su altri esemplari, ottenendo come risultato la pera Madernassa, che nella zona delle Langhe e del Roero è molto conosciuta e apprezzata. Quella mutazione genetica per fortuna è ancora un bene comune.

Qual è il suo gusto preferito di gelato… Reale?

La fragola. Ci abbiamo messo l’anima, è stato quello che ci ha impegnati di più, perché è un frutto che è troppo acido o troppo dolce o troppo stucchevole. Quindi per raggiungere l’equilibrio abbiamo creato un blend di tre tipologie di fragole diverse.

Perché mangiare questi gelati?

Perché sono naturali, fatti con ingredienti ottimi, altamente digeribili. Oltretutto è un un’occasione perfetta per scoprire la realtà della Corona Reale.

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a cura di Nadia Afragola

Il Pasticcere e Gelatiere Italiano

numero di settembre

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