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A Torino la pizza è… “sospesa”

Nasce in maniera spontanea, naturale e senza troppo clamore. Si chiama Pizza sospesa ed è un'idea di Carlo Ricatto, titolare della pizzeria Bricks di Torino. È un'iniziativa no-profit e completamente autofinanziata che porta il più italiano dei piatti a tutte le strutture sanitarie, della città, impegnate in questa durissima battaglia.

Mentre a Milano sono più di trenta gli chef che hanno deciso di indossare il grembiule Milano Keeps on Cooking, a Torino c’è chi ha avuto l’idea della Pizza sospesa. Parte da Carlo Ricatto e dalla sua pizzeria Bricks di Torino l’iniziativa no-profit e completamente autofinanziata che porta il più italiano dei piatti a tutte le strutture sanitarie, della città, impegnate in questa durissima battaglia. È un gesto semplice quanto profondo, perché la pizza non è solo un pasto, ma un momento di convivialità, è una bandiera del nostro paese, è qualcosa che scalda gli animi, che rassicura e strappa un sorriso anche solo per pochi minuti, anche quando non c’è nulla per cui gioire. Il nemico è invisibile, ma questi atti di fratellanza sono il gesto più reale e più sincero che il nostro paese e la città di Torino potessero immaginare.

L’IDEATORE
Intervista a Carlo Ricatto, proprietario della pizzeria Bricks di Torino

Come è nata l’idea della Pizza sospesa?
Di getto, la sera di lunedì 9 marzo. Ero in montagna e avevo appena ascoltato le parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con cui comunicava le nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covi-19 sull’intero territorio nazionale. In quei giorni mi stavo domandando quale sarebbe stato il futuro del nostro paese, cosa era giusto fare come imprenditore, che misure adottare, come preservare i miei dipendenti, e soprattutto, quale poteva essere la mia parte in questa vicenda. Potevo fare qualcosa per dare una mano alla mia città?

Quale è stata la risposta?
Quella sera stessa partii per tornare a Torino per dedicarmi all’attività di delivery, che era ancora consentita dal decreto. Ma quella sera non fu come tutte altre. Decisi di consegnare gratuitamente le pizze all’Ospedale Amedeo di Savoia, pensando che fosse il centro più sotto pressione nella battaglia contro il virus. Iniziammo così.

Poi cosa accadde?
In pochi giorni abbiamo capito che non solo l’Amedeo di Savoia era coinvolto in questa sfida, ma che l’emergenza si stava estendendo a tutti i presidi ospedalieri della città. Capii che il gesto di una sera non era sufficiente, ma allo stesso tempo che avevamo bisogno di più mani, di più supporto e di più solidarietà. Così, con qualche telefonata, è nata una rete di persone pronte a dare tutto quello che potevano per la causa. Servivano braccia per sfornare pizze e mezzi per consegnare. La risposta è stata di quelle che tolgono il fiato, a ripensarci ora. Nel momento del bisogno, nel nostro piccolo, abbiamo messo in moto una macchina della solidarietà in poche ore, che giorno dopo giorno si prende cura di chi è schierato in prima linea per curare i nostri amici, i nostri parenti, i nostri concittadini.

Chi ha risposto all’appello?
Non saprei dire chi per primo ha risposto alla “chiamata”. So che da un giorno con l’altro mi sono ritrovato fianco a fianco con persone come Massimiliano Prete, che è un vero esperto e un punto di riferimento in Piemonte in quanto a lievitati e pizza. Tanti ragazzi, normalmente impegnati nei vari ristoranti della città, si sono prestati a fare le consegne presso gli Ospedali. E parliamo di persone abituate all’alta cucina, di sous-chef, di maître di sala, che senza pensarci hanno deciso di prestarsi all’attività di driver tutti i giorni della settimana gratuitamente. È da questo aspetto che ha preso forma un secondo pensiero.

Quale?
Una volta capito che l’emergenza Covid-19 non si sarebbe risolta nel giro di poche settimane, ci siamo chiesti: siamo in grado di variare la proposta e consegnare altre specialità? E questa intuizione è nata proprio dall’osservazione diretta. Se il personale di sala e di brigata dei ristoranti torinesi era qui con noi e ci stava aiutando, perché non coinvolgere anche gli chef, dal momento che le attività che non prevedevano delivery erano chiuse? Non stavamo chiedendo di aprire i ristoranti esclusivamente per cucinare gratuitamente per gli ospedali, ma di mettere in gioco la loro solidarietà. Io avrei messo a disposizione la cucina, loro – gli chef – le mani, l’esperienza e le ricette.

Ma Torino è una città un po’ chiusa, che guarda di traverso con un occhio ma poi prosegue il suo cammino.
Ecco, mai stereotipo si è dimostrato più falso. Voglio gridare a tutti che questa città è schierata, unita, compatta. Subito dopo la prima linea dei medici, ci siamo noi. E siamo tanti. Quando ho raccontato l’idea di cucinare qualcosa di diverso oltre la pizza, tanti chef mi hanno seguito. Al momento ho la cucina con la più alta concentrazione di talenti del Piemonte, e non solo!

Grandi azioni innescano spesso critiche. Perché la gente storta il naso davanti a un gesto di fratellanza?
C’è chi ha criticato l’iniziativa pensando che fosse una trovata pubblicitaria. Persone che davanti ad una mano tesa cercano di capire dove sta l’inganno, in che modo li fregherai, piuttosto che stringerla e farsi aiutare. Persone che non capiscono nemmeno che il gesto di fare una pizza riguarda anche loro, che magari stanno comodamente a casa sul divano. Perché quella pizza magari sta sfamando un dottore che ha appena salvato la vita a tuo nonno o a un amico della tua fidanzata. O magari la sta salvando a qualcuno che non conoscerai mai, ma che è tuo vicino, tuo concittadino, e condivide con te l’ombra della Mole (Antenelliana, ndr). Ci importa poco delle critiche, la gente ha un cuore grande, ed il coinvolgimento di altri chef, con il loro seguito sui social, ha fatto sì che le donazioni aumentassero sempre più.

Proseguire per settimane facendo una beneficienza di questo tipo, ha dei costi di gestione molto alti. Come fa a far quadrare conti?
Il trucco c’è e non si vede. Ma ve lo voglio svelare. Anche per quanto riguarda l’approvvigionamento della cucina infatti, non sono solo. Un aiuto fondamentale è venuto da chi ha donato la sua materia prima migliore: Molino Fruttero per quanto riguarda il riso e la farina, il Frantoio di Sant’Agata di Oneglia per l’olio extravergine, il Molino Abruzzese per la farina e, per non farci mancare una nota dolce, Edoardo Cavagnino, della gelateria Pepino, ci ha fornito i gianduiotti e Giulio Rocci della gelateria Ottimo Gelato ci ha fornito le creme caramel.

Quanti ospedali state servendo al momento?
Abbiamo raggiunto l’Amedeo di Savoia, il Regina Margherita, le Molinette, il Mauriziano e l’Humanitas Gradenigo, dividendo equamente quello che riusciamo a realizzare.

Come possiamo fare la nostra parte nel progetto Pizza Sospesa?
Chiunque può contribuire regalando una Pizza Sospesa. Basterà fare una donazione sulla piattaforma Specchio dei Tempi, una fondazione onlus che sostiene le situazioni di emergenza, e che in questo caso sta supportando la sanità torinese. Una volta effettuata la donazione, che ci tengo a dire sarà interamente devoluta a Specchio dei Tempi, basterà comunicarci l’avvenuto pagamento tramite i canali social della pizzeria Bricks di Torino, sulle nostre pagine Facebook e Instragram e provvederemo a sfornare le pizze per gli ospedali in città. La vostra donazione non finanzierà la pizzeria, ma servirà a finanziare le strumentazioni necessarie per risolvere la situazione del virus Covid-19.

IL PIZZAIOLO
Intervista a  Livio Ceoflec, pizzaiolo di Bricks
Livio Ceoflec ha 30 anni, di cui 11 passati davanti a un forno a legna. È il pizzaiolo di Bricks, ha origini rumene ed è in Italia da 7 anni. Lavora con Carlo Ricatto, la proprietà della pizzeria, dal giorno dell’apertura più di 3 anni fa. Ha sposato questo progetto, ci ha creduto da subito ed oggi gli è stato chiesto di credere non solo nel suo lavoro ma nel paese che lo ha adottato e ricambiare quell’abbraccio che Torino gli ha riservato 7 anni fa.

Come state vivendo questa emergenza sanitaria?
All’inizio, come tutti, abbiamo sottovalutato la questione. Era opinione comune che il virus si sarebbe fermato alla Cina, era lontano, ci credevamo fuori dal radar dell’emergenza. Poi sono arrivati i primi casi in Italia ed è stato difficile accettare il fatto che siamo così vulnerabili. Abbiamo chiuso 3 giorni per tutelare i clienti e noi stessi, nonostante la situazione fosse confusa. C’erano dei colleghi che ci chiedevano di essere uniti e di non fermarci e c’era chi invece era più spaventato. Poi il Dpcm del Primo Ministro Giuseppe Conte ha fatto chiarezza ed abbiamo optato per la chiusura. Era normale aspettarsi un po’ di confusione in situazioni così al limite, non capita tutti i giorni di avere a che fare con una pandemia.

Perché avete scelto di rimanere aperti e dedicarvi alla Pizza Sospesa?
Perché non potevamo restare a guardare. Il decreto ci consentiva di lavorare ma ci imponeva di farlo in sicurezza. Con qualche piccolo accorgimento evitiamo qualunque contatto tra noi, le materie e gli operatori a cui consegniamo. All’inizio pensavamo di regalare agli Ospedali tutta la materia prima che avevamo ordinato e non potevamo utilizzare. Poi abbiamo deciso di continuare a fare ciò che sappiamo fare meglio, dando il nostro piccolo contributo alla comunità.

Come si vive la distanza dalla famiglia in situazioni di emergenza?
In Italia vivo con mai moglie e i miei due figli, di 3 anni e 2 mesi ma tutto il resto della mia famiglia si trova in Romania. Avremmo dovuto vederci i primi giorni di marzo per il battesimo di uno dei miei bambini, poi le cose sono precipitate e per la sicurezza di tutti è stato meglio rinviare l’evento a tempi migliori.

Qual è la realtà che vive in questi giorni davanti a quel forno a legna?
Sto vivendo situazioni che mi ricorderò per molto tempo. Vedo ragazzi normalmente impegnati in altri ristoranti venire a dare una mano. Vedo clienti abituali della pizzeria prestarsi per fare le consegne. Vedo infermieri ringraziarci nei pochi attimi di pausa che hanno. Vedo chef ed eccellenze della ristorazione piemontese stare nella mia cucina a preparare le loro ricette migliori. Vedo persone commuoversi per tanti gesti d’affetto.

Che Cosa rimarrà di questa quarantena una volta che tutto sarà finito?
Rimarranno i bei gesti, la solidarietà, il lavoro incredibile del settore ospedaliero e i piccoli gesti quotidiani che mi auguro lasceranno un segno in tutti noi anche dopo la crisi. Sarebbe bello se tutto questo in fondo ci facesse diventare più umani, sarebbe bellissimo se quel virus ci trasformasse in persone migliori.

a cura di Nadia Afragola

Le Fermentazioni Spontanee

di C.di Cristo, E. Marinato, C. Zaghini, P. Sapiente

Pizza e non solo, realizzate con la nuova tecnica delle fermentazioni spontanee. Italian Gourmet sempre attenta ai cambiamenti, in termini di contenuto e di business, del settore, torna a parlare di lievitazione con quattro grandi professionisti che hanno fatto delle fermentazioni spontanee, tecnica di lievitazione a partire da frutta e verdura, il proprio valore aggiunto

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