Grande Cucina

Chi resta e chi scompare

Nella ristorazione i cliché non sono ben visti. Eppure, ogni volta che partecipo a un confronto con chef, studenti o addetti ai lavori, mi rendo conto che certe domande tornano sempre. E alcune meritano davvero attenzione.

Una delle più ricorrenti me l’ha fatta uno studente del Congusto Institute, in occasione dell’ultimo open day. Ma l’ho sentita, in forme diverse, tante volte.
“Perché certi chef sono ancora considerati dei modelli e altri, che magari hanno fatto la storia, sembrano spariti del tutto?”

Domanda semplice. Risposta complicata.

Quella domanda mi ha fatto riflettere sui veri punti di riferimento di oggi. Chi influenza davvero la cucina contemporanea? Ma siamo sicuri che questi modelli attuali siano veri innovatori? O sono solo abili interpreti del passato?

La verità è che nella ristorazione si celebra spesso chi funziona oggi. Ma il tempo che conta davvero è diverso. È quello che ti misura tra dieci, venti, trent’anni. È quello che distingue una moda da un’impronta.

Penso a figure come Gualtiero Marchesi, che hanno segnato un’epoca e ancora oggi pongono domande alla cucina contemporanea. La sua capacità di trasformare la tradizione italiana in linguaggio moderno continua a ispirare chef in tutto il mondo. Oppure a certi chef meno esposti mediaticamente, ma con una coerenza che resiste da Paolo Lopriore a Piergiorgio Parini.

Abbiamo ancora la capacità di riconoscere il talento?

E soprattutto siamo capaci di individuare professionisti che sappiano durare nel tempo?

Quando ascolto i più giovani parlare di ispirazione, vedo spesso una ricerca frenetica del momento perfetto per il social. Il piatto che colpisce, la tecnica che stupisce, la presentazione che diventa virale. Ma stanno cercando dei maestri o solo modelli da replicare?

Perché c’è una bella differenza tra chi osserva il passato per copiarlo e chi, invece, lo studia per trasformarlo. E se è vero che certi chef sono scomparsi, forse la domanda non è perché sono caduti nell’ombra, ma perché non siamo stati capaci di seguirli nel tempo.

Forse ci siamo abituati a un ritmo che premia chi è visibile, non chi è coerente. A una narrazione che cerca il nuovo, ma dimentica il valore della continuità. Alcuni chef non sono spariti. Hanno semplicemente continuato a lavorare in silenzio, fuori dai riflettori, senza inseguire tendenze. Eppure, se ci fermassimo un momento a guardare meglio, scopriremmo che certe visioni non sono invecchiate.

Siamo noi che abbiamo cambiato direzione. Abbiamo iniziato a rincorrere linguaggi più semplici, più immediati, più visivi. Ma la profondità, in cucina come altrove, spesso non si mostra subito. Seguire nel tempo significa avere pazienza. Significa riconoscere chi ha lasciato un segno, anche se non lo rivendica ogni giorno.

Forse è questo che dovremmo trasmettere ai più giovani non tutto ciò che non si vede è scomparso. Alcuni percorsi continuano. Ma serve uno sguardo diverso per accorgersene. Uno sguardo che sappia guardare oltre le tendenze del momento. Che sappia distinguere tra chi costruisce e chi semplicemente appare. Che riconosca il valore di chi ha scelto la strada più lunga, quella della coerenza.

È una responsabilità nostra, di chi forma e di chi racconta la ristorazione. Dobbiamo allenare questo sguardo, in noi stessi e in chi ci segue.

a cura di Federico Lorefice