Si chiama Atelier des Grandes Dames, ed è firmato Veuve Clicquot, la casa di Champagne fortemente connotata al femminile, che da sempre mette in luce e valorizza l’abilità delle donne chef e stimolando la loro creatività in abbinamento alle bollicine del gruppo.
La Grande Dame 2006 è la cuvée di alta gamma Veuve Clicquot, uno champagne omaggio a Madame Clicquot, realizzata con il 53% Pinot noir e 47% Chardonnay, quindi con i migliori terroir, per riflessi dorati di bollicine finissime.
L’abbinamento con Antonia Klugman è immediato: per la chef che dopo una stagione televisiva è tornata al suo amato ristorante, la relazione col territorio, più che un aspetto, rappresenta il fulcro della cucina: un vero e proprio dialogo attraverso l’osservazione di ciò che la circonda.
Per l’abbinamento con le bollicine Veuve Clicquot, Antonia ha scelto di preparare dei maccheroncini al ferretto con garusoli e silene, pianta spontanea coltivata e raccolta dalla chef stessa.
Prima di essere assemblatore, il cuoco, nella filosofia della Klugmann, è anche coltivatore.
L’idea del piatto è nata dall’abbinamento, l’idea di un gusto da rendere concreta: arrivare alla concentrazione del sapore di terra dei garusoli, sposata al sapore delicato del silene.
La preparazione del piatto è stata occasione per rivelare la filosofia di vita e di lavoro che guida la mano della cuoca ai fornelli: mai i pomodori in inverno, unica eccezione quando arrivano dal proprio orto, niente soffritto come base del piatto, la cipolla arriva, ma dopo, quando il pomodoro ha già rilasciato umidità.
L’acqua di cottura del garusolo costituisce, una volta ristretta e aromatizzata, una sorta di salsa slegata ma concentrata, nella quale far saltare pasta, garusoli e un burro al silene, per ritrovare tutta la concentrazione del sapore.
Il Silene è una pianta aromatica simbolo per Antonia: ha valore ma non ha prezzo. Non è acquistabile ma viene autoprodotto coltivato e raccolto in autonomia.
Un elemento unico che dà valore al piatto stesso. Il protagonista poi, il garusolo, viene valorizzato dal gesto del cuoco e ha un’otttima resa, al pari di tanti altri ingredienti blasonati del mare, che, oltre al prezzo, sono di difficile reperibilità; acquistarli e proporli con parsimonia fa parte di un atteggiamento di attenzione all’ecosostenibilità.
Partendo dall’assaggio di questo binomio piatto-vino abbiamo avuto l’occasione di dialogare con lei.
Da dove prendi la tua ispirazione? 
Conta partire dalla conoscenza di sè legata alla creatività: all’inizio pensavo che alcuni miei modi di pensare alle ricette fossero limiti, l’intuizione, l’istinto. Col tempo sicuramente occorre trovare un modo per avere continuità nel proprio lavoro. Ho compreso che il carattere non è più un limite ma una cifra personale. Una sicurezza che cresce nel tempo. Nel concreto mi ispira la campagna: viverci e circondarsi del bello, non ultimo avere un ristorante che sia espressione di me in tutti i sensi.
Se potessi scegliere di cucinare per una grande donna del passato (o una del presente o del futuro) per chi cucineresti e cosa cucineresti? 
Irène Némirovsky, morta in campo di concentramento, scrittrice con radici simili alle mie e vissuta in Francia. Le preparerei una zuppa di crauti e mele fermentate in brodo di rapa rossa, un piatto evocativo del Boršč
C’è una Chef donna a cui ti ispiri? 
In tante hanno fatto molto, penso a Nadia Santini o Anne Sophie Pic. Ogni donna è un mattone che ha contribuito a costruire un muro, che contribuisce al percorso delle altre.
Qual è il valore aggiunto della donna in cucina? 
(Sorride e scuote quasi la testa) Donne e uomini uguali secondo me, nessuna distinzione di genere.
Spiegami meglio il concetto di valore dell’autoproduzione. 
È legato al concetto dell’indipendenza: l’orto, le camminate, rimangono capiscaldi anche per i ragazzi che lavorano nella mia cucina, la raccolta e la coltivazione avvicinano alle sensibilità quando cucini. Anche per erbe acquistabili coltivarle fa la differenza. Una conoscenza della materia prima stessa: cosa raccogliere, quando e come, per avere una maggiore consapevolezza dell’ingredienti da trasmettere anche al cliente.
Il tuo rapporto col territorio è ancestrale: da dove deriva?
La mia è una cucina radicata nel territorio, grazie agli ingredienti che sono stati il mezzo che mi ha fatto entrare in cucina. Importante è lo studio del luogo in cui ti trovi, anche dal punto di vista geopolitico. È difficile avere un luogo proprio in cui lavorare, cucinare, che sia sul territorio e che rimanga quello nel tempo.
Con l’Argine a Vencò Antonia ha pienamente raggiunto questo obiettivo: una felice condizione di vita e di lavoro che ci auguriamo le consenta di continuare a fare bene e soddisfare i clienti.