Pierre Hermè

LEZIONE DI STILE
QUANDO C’E’ EQUILIBRIO PERFETTO TRA ESTETICA, CONTENUTO, MODO DI ESSERE E PENSARE, QUANDO SI RIESCE AD ESSERE UNICI E AL CONTEMPO RAGGIUNGIBILI, ALLORA SI HA STILE, ALLORA SI PUO’ ESSERE NON ‘UN’ PASTICCERE MA ‘IL’ PASTICCERE. COME PIERRE HERME’.
Parigi, Rue Fortuny 16. Qui c’è il quartier generale del numero uno della pasticceria mondiale, qui si aprono le porte di un universo di gusto ed equilibrio, qui si può conoscere il professionista che ha saputo, pur rimanendo francese nel senso più pieno – e, ammettiamolo, anche un po’ snobistico – del termine, conquistare mercati diversissimi, elevare un intero comparto, colmare le distanze culturali che separano un prodotto effimero e destinato a non rimanere (come il cibo è per sua natura) a vero oggetto di culto.
ONORI ED ONERI
I motivi di un successo sono sempre più di uno. Nel caso di Pierre Hermé alcuni si possono cominciare ad intuire nello stesso istante in cui si aprono le porte dei suoi uffici. In un palazzo ottocentesco elegante come solo certi edifici parigini sanno essere il pasticcere più famoso del mondo ha la sua base operativa. Ambienti curati al limite del maniacale, qualche selezionato pezzo di design intervallato da opere d’arte contemporanea sapientemente scelte. Il suo ufficio gode di una splendida vista sul quartiere circostante e lui ci accoglie con la consueta camicia bianca, senza cravatta. Quasi una divisa d’ordinanza. E’ pacato, garbato, carismatico. Solo un vero signore può non farci fare nemmeno un minuto d’anticamera nonostante il ritardo di più di un’ora dovuto ai soliti problemi con gli aerei. Una delle molte assistenti ci segue come un’ombra e porta il caffè accompagnato da una scelta di biscotteria perfetta nella forma e nella sostanza. Pierre Hermè si siede, sorride e ci dichiara la sua disponibilità.
Un’intervista non facile questa. Ma Hermè non è tipo da mettere a disagio. E’ perfettamente conscio del suo ruolo e del suo valore (si intuisce da come ti guarda, dalla gestualità, dal tono della voce) ma non fa nulla per sottolinearlo, anzi.
Per questo quando gli chiediamo come ci si sente ad essere il numero uno, come si fa a sopportare l’onere ed onore di essere un punto di riferimento si schernisce con un punta di mal celata timidezza ma poi risponde: “Non avverto questo tipo di pressione o forse, semplicemente, non gli do importanza. I miei più grandi sogni erano due: essere un pasticcere e creare un brand di lusso legato al dolce. Li ho entrambi realizzati e ora non mi resta che continuare, giorno dopo giorno, a migliorare, a continuare a crescere. Senza fermarmi mai.
Il successo e la notorietà sono effimeri, non bisogna mai dimenticarsene. Ormai non creo e vendo solo dolci, ma un’immagine, un concetto. Questo cercano i miei clienti in tutto il mondo. Per rimanere ancorato alla realtà, però, devo sempre ricordarmi che tutto può cambiare. Ciò che rimane è il proprio lavoro e la consapevolezza di averlo fatto, sempre, al meglio. Gli eccessi legati al rischio di protagonismo li evito accuratamente. Qualche tempo fa una televisione francese voleva girare un servizio su di me a casa mia. Ho rifiutato. Faccio dolci, parliamo di questo: a chi può interessare come è arredato il mio salotto o che film guardo?”.
UN BUSINESS MULTIMILIONARIO
Impossibile avere a che fare con il Pierre Hermé creativo senza interfacciarsi anche con l’imprenditore, con il businessman a capo di un vero e proprio impero fatto di decine di punti vendita in tutto il mondo. Come si possono conciliare queste due anime e a che quota parte di creatività occorre rinunciare in nome degli affari?
“Personalmente non amo i compromessi. Sono e rimango un pasticcere. Il mio lavoro è creare e fare dolci nel migliore dei modi. Voglio che questo legame con le mie radici professionali non si interrompa mai. Per questo la maggior parte delle mie energie sono convogliate proprio nella parte operativa, lasciando tutta la gestione al mio socio. Ognuno deve fare il proprio mestiere e il mio è fare dolci. In realtà – e probabilmente su questo versante sono stato fortunato – non ho mai dovuto rinunciare a qualcosa in termini di creatività in favore delle logiche del business. Immagino un prodotto, lo disegno, lo metto a punto e sovraintendo a tutte le fasi di promozione e marketing. Ecco su questo sono estremamente rigoroso. Un prodotto firmato Hermè deve avere una sua logica unitaria: dagli ingredienti al packaging, tutto deve essere armonizzato. Non accetterei mai di seguire il processo sino alle porte del laboratorio e poi delegare totalmente il suo futuro a qualcun altro”.
Mentre ci racconta come nasce uno dei suoi dolci leggendari apre un cassetto e ne estrae una cartella trasparente piena di disegni: fogli uguali, stesso colore della carta e del tratto. Schizzi incredibilmente belli, fitti di appunti eppure ordinati. “Il mio percorso creativo parte inevitabilmente dal disegno, amo farli, è il mezzo per fissare le idee, i pensieri. Da qui tutto ha inizio. Questi ad esempio (e prende due disegni tra i più recenti ndr) sono i macaron della nuova collezione, che verranno presentati a febbraio. Il tema conduttore sono gli aromi e i colori di erbe, fiori e spezie. Già nella fase di ideazione del prodotto, nella stesura della ricettazione penso a come comunicarlo, a dove fare la presentazione, a come confezionarlo. In questo caso abbiamo realizzato un video che ripropone i sentori dell’estate, ambientato in un giardino”.
Ciò che colpisce è la logica operativa, qui ovviamente amplificata e ottimizzata dalle grandi risorse – anche finanziarie – a disposizione. Ma ciò che fa la differenza è proprio il processo, la continuità di pensiero. Questo è uno dei grandi segreti del fenomeno Hermé.
UN COMUNE PUNTO DI PARTENZA
Per un professionista che ha rivoluzionato un intero comparto, qual è il rapporto con la tradizione? “Tutto parte da lì. Non si crea nulla di nuovo se non partendo dalle proprie origini. Prendiamo i macaron: erano un dolce antico, quasi dimenticato. Da lì sono ripartito e li ho reinventati. In ogni mia creazione c’è un po’ di passato, un pizzico di grande pasticceria francese. E’ questo che raccomando ai giovani: conoscete il passato, studiatelo, fatelo vostro e poi date il vostro contributo. In Italia, ad esempio, avete una grande tradizione dolciaria. I vostri lievitati, sono unici. Ogni regione ha un suo dolce, una sua particolare interpretazione. Ecco, ripartite da lì, recuperare una identità nazionale e attualizzatela. In questo non siete inferiori né ai francesi né a nessun altro”. Parole importanti che suonano come un invito autorevole. Ma se il punto di partenza è stato svelato, qual è quello di arrivo?
“Sembrerà banale ma è così. Il punto di arrivo può essere solo uno: la massima qualità. E la qualità, quella vera, è la sommatoria di un’ampia serie di fattori che vanno dall’ingrediente alla materia prima, all’estetica. Poche, chiare regole che vanno padroneggiate senza esitazioni. Bisogna lavorare per sottrazione, semplificando, arrivando all’essenziale. Quando creo un dolce cerco di togliere ogni elemento superfluo e punto dritto al punto ovvero alla creazione di un prodotto buono nel senso più completo del termine. Non è un metodo vero e proprio: provo e ricerco senza stancarmi mai. Il risultato arriva sempre, basta perseguirlo con la giusta determinazione”.
Sulla strada che porta al raggiungimento dell’obiettivo Hermé non tralascia nessun dettaglio: “In questa ricerca non va dimenticato, poi, l’ultimo fondamentale passo. Quello della vendita, del rapporto con il cliente. Fornisco, ad esempio, ai miei addetti alla vendita un vero e proprio decalogo. Per proporre un prodotto bisogna usare determinati termini ed evitarne altri. Possono sembrare dettagli ma non è così. Chi entra in un negozio Hermé deve avere il meglio, sotto ogni punto di vista. Quello che ho voluto fare con il mio lavoro è stato proprio questo, introdurre un nuovo concetto di gusto e qualità fatto anche di dettagli”.
L’intervista finisce davanti a quel caffè meraviglioso e con una foto ricordo. Mercì Monsieur Hermé, ogni successo ha i suoi perché e i suoi sono più che validi.
Un pensiero particolare va a Iginio Massari: grazie a lui le porte di Rue Fortuny si sono aperte alla redazione de Il Pasticcere.