Matias Perdomo
Chef
 Uruguagio, del marzo dell’80, muove i primi passi nella cucina di un corso privato, nel suo paese natale, accompagnato dallo zio, di professione falegname (ma solo per sprono iniziale, riconoscendo in lui la passione per l’arte culinaria). Subito un grande obbiettivo: diventare lo chef del primo hotel a 5 stelle del paese, El Condor. Unico impedimento: l’età. 14 anni sono troppo pochi per lavorare in una cucina di così alto livello, ma lui non si scoraggia e pur di provare quel brivido, quello sfogo, quell’immediatezza di risultato, si propone attraverso i suoi piatti in una piccola rosticceria cilena, che conferma il suo amore per le materie prime e per la preparazione del cibo.
Dopo poco passa ad un servizio di catering di stampo francese, ma sempre in Uruguai e fino ai 18 anni ha la possibilità di evolvere e maturare professionalmente. Il primo grande risultato arriva grazie alla cucina italiana del ristorante Paninis, che in soli due anni muta da locale di trenta coperti a piccola catena, con tre diversi nuovi punti di ristoro sparsi per il paese. Arriva la notorietà, la gente lo riconosce per strada grazie anche al programma televisivo che conduce sulla cucina, ma resta pur sempre insoddisfatta la sete di scoperta, di gioco e di scommessa.
L’invito dell’amico Juan a raggiungerlo in Italia, nel ristorante milanese “Al Pont de Ferr gli permette di tornare a sognare in grande, soprattutto a livello esperienziale. Decide dunque di partire e diventa subito secondo chef. La cornice è quella di antica osteria tradizionale nell’aspetto ma già avveniristica nella sostanza. La sua creatività e la voglia di mettersi in gioco si sposano bene con la prorompente tenacia di Maida Mercuri, titolare e sommelier del ristorante, che assieme a piatti tipici come pasta e fagioli o risotto con ossobuco, stappava baroli pregiati già negli anni ottanta, in piena corrente di novelle cusine, come a sfidare (e allo stesso tempo sfatare) la convinzione che l’alta cucina fosse solo questione di elittarietà.
Matias inizia a seguire contemporaneamente stage formativi e di specializzazione, specialmente in Spagna per via della facilità di lingua. Inizia con uno stellato come il Berasategui di San Sebastian e prosegue con i fratelli Roca di Girona, in Catalogna, “appropriandosi” al contempo del servizio di mezzogiorno nel quale trova spazio per proporre piatti più freschi e di propria ideazione, ma senza stravolgere o intaccare l’immagine ormai diffusa e amata dell’osteria Al Ponte.
Da cinque anni è il primo chef, affiancato dall’argentino Simon… e rapidamente si sta affermando come uno dei più creativi chef della piazza italiana ma non solo.
Se chiediamo direttamente a lui cosa sia la cucina, riceveremo una risposta immediata, non studiata. “E’ qualcosa che nasce dalla pancia, un bisogno di reinterpretazione dei sensi con il cibo al centro.”
Matias è felice quando un piatto è completo, e perché questo avvenga si deve chiudere un cerchio. Un percorso fatto non solo di sapore, ma un entità che tocca tutti i sensi e va oltre, in maniera ludica. Ci tiene a sottolineare che la sua non è una cucina di meditazione, in quanto meditare richiede troppo tempo e profondità, troppo quando ci si siede a tavola. Preferisce parlare di cucina di riflessione, piu veloce e immediata, ma al contempo in grado di provocare e divertire. I suoi avventori gli chiedono di essere sorpresi, emozionati, divertiti, felici di non pagare troppo e non obbligati a portarsi dietro un ricordo (cosa per altro impossibile).
Tre sono le cose essenziali quindi: la materia prima, per la quale l’aspetto qualitativo non può e non deve mancare, l’inganno ludico dei sensi e il contrasto visivo che può portare all’inganno.
Sentendosi già oltre le barriere e le battaglie della vita, egli ha trovato ora un efficace equilibrio e il meritato spazio creativo e di espressione, supportato dalla presenza quasi scenografica di Maida e dal suo straordinario modo di accogliere le persone (che non sono soltanto clienti).
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