Quattro differenti lavorazioni d’impasto a lievitazione naturale, salumi di mare artigianali e topping che valorizzano il pescato locale. Luca Pezzetta lavora con una materia prima di spessore, in stretta sinergia con le barche locali, con l’Asta del Pesce e acquistando da orti di proprietà.
Luca Pezzetta, pizzaiolo, panificatore, lievitista e titolare della Pizzeria Clemetina, aperta nel 2021 lungo il porto-canale di Fiumicino, è particolarmente attento alla gestione dei lieviti e alle tecniche di lavorazione e cottura del pesce, tra cui quella espressa alla BBQ, con un’attenzione particolare ai tagli poveri di pesce.
Nel menu ci sono più di 150 lavorazioni diverse e, nel 2022, Pezzetta ha introdotto anche i suoi salumi di mare artigianali e le bottarghe che produce durante tutto l’anno. Nel menu degustazione, realizzato solo su prenotazione dal lunedì al giovedì, è possibile assaggiare anche una delle sue specialità: i collari di pesce (tonno, cernia o ricciola), serviti con una bruschetta al pomodoro.
Tagli poveri di pesce: come valorizzarli secondo Luca Pezzetta
Come si crea un menu degustazione?
«Per me il menu degustazione è un racconto. Non è una semplice sequenza di piatti, ma un percorso che deve trasmettere un’idea, un ricordo, un’emozione. In generale, si costruisce creando un ritmo: dall’apertura delicata che prepara il palato, al crescendo di sapori e consistenze, fino alla chiusura che lascia memoria. Ogni passaggio deve avere un senso, non solo gastronomico ma narrativo. Nel caso del menu di Clementina, questo racconto prende forma attraverso la pizzeria stessa. Parto dai grandi lievitati, passo agli sfogliati, arrivo al pane e poi fino alla pizza romana al mattarello: un viaggio tra impasti e tecniche, che va dal più complesso e strutturato al più semplice, ma non per questo meno tecnico. È come se il cliente leggesse, pagina dopo pagina, una “didascalia degli impasti”».

Come nasce il menu degustazione di pesce?
«Il pesce diventa protagonista perché appartiene profondamente al mio territorio, Fiumicino. Non lo uso per creare piatti fini a se stessi, ma per reinterpretare i grandi classici con rispetto e consapevolezza. Così il cocktail di gamberi diventa uno sfogliato, con una salsa ottenuta dai carapaci al posto della maionese; lo spiedo di tonno e cipolla nasce da una ventresca maturata che ricorda la morbidezza di una carne “wagyu”, unita alla dolcezza della cipolla di Giarratana cotta al BBQ e servita con un pain au chocolat salato che gioca sull’amaro del cioccolato. Il senso del percorso è questo: far ritrovare sapori conosciuti, ma esaltati al massimo, con un’attenzione quasi ossessiva alla tecnica. Come accade quando uno chef di un ristorante stellato reinterpreta uno spaghetto al pomodoro: un piatto semplice, ma reso memorabile grazie a un lavoro di profondità e umami. Il menu degustazione diventa quindi un viaggio tra mare e terra, tra tradizione e tecnica, tra memoria e sorpresa. È il modo in cui cerco di raccontare, attraverso la pizza e i lievitati, il mio territorio e la mia idea di cucina».
Cosa sono i collari di pesce e come si preparano?
«Il collare è una parte che si trova sotto la testa del pesce, spesso poco considerata, ma in realtà è tra le più saporite e ricche di grasso nobile. Prediligo i collari di tonno, spada, cernia o ricciola. Solitamente preparo i collari due volte al mese, quando mi occupo della salumeria di mare: la loro maturazione avviene nella cella di frollatura per cinque giorni. Vengono marinati con olio extravergine d’oliva, aglio, rosmarino, scorza di limone, pepe nero, erbe di macchia e un goccio di aceto di riso e infine cotti lentamente sul BBQ, a brace indiretta, per circa 60/90 minuti, finché non sono tenerissimi».

Come sono serviti?
«La proposta si chiama “Pane e collari”: il pane a lievitazione naturale del mio Micro Forno abbinato ai collari, che vengono serviti con i loro fondi di cottura, spesso anche con una trippa di rana pescatrice leggermente brasata. Il pane, invece, è una semplice bruschetta condita con olio Evo o al pomodoro. Si mangiano con le mani, usando il pane per prendere la carne da scavare con il cucchiaio e affondare con i guanti, che arrivano a tavola insieme al piatto».
Perché questa proposta particolare in pizzeria?
«È un piatto che nasce dal desiderio di valorizzare un taglio “povero”, trasformandolo in un’esperienza gastronomica di alto livello. Proprio come accade con certi tagli di carne meno pregiati, che diventano protagonisti grazie alla tecnica, anche il collare diventa centrale in un percorso di degustazione. Questa scelta ha anche un valore di sostenibilità: recuperare parti del pesce che raramente arrivano in tavola e riportarle al centro della scena. Così, la pizzeria diventa il luogo dove il territorio e le sue materie prime vengono raccontate in modo nuovo, con piatti che sorprendono e fanno riflettere».

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In apertura: foto Slevin
a cura di Anna Celenta


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