Il Panificatore Italiano

I tipi di lievito per la panificazione: pasta madre e non solo…

Esistono varie tipologie di lievito utili per la panificazione: abbiamo lievito di birra, chimico, fisico e la pasta madre viva (erroneamente chiamata lievito madre). A ognuno di questi corrisponde un metodo diverso di lavorazione dell’impasto.

Il lievito di birra

Il Saccharomyces cerevisiae è un organismo unicellulare appartenente al regno dei funghi. È una nota specie di lievito naturale (probabilmente il più importante nell’ambito dell’alimentazione). Il suo utilizzo è noto fin dall’antichità per la panificazione e la produzione di birra e vino. In commercio troviamo il lievito di birra in forma fresca o secca.

Il lievito di birra fresco si riconosce dal colore (che può variare dall’avorio, indice di freschezza, al grigio, indice di deterioramento) e dalla friabilità (più è fresco, più è facile da sbriciolare). Nella sua versione secca il lievito di birra può essere in forma granulosa e sferica, da reidratare nell’acqua tiepida, oppure istantanea, in forma di bastoncini, da unire direttamente nella farina. La scelta migliore per la panificazione è il lievito fresco, purché conservato nella maniera ottimale.

Il lievito chimico

Questo tipo di lievito si utilizza prevalentemente nella preparazione di dolci, in quanto il contenuto elevato di grassi e zuccheri che solitamente si utilizzano in questi impasti graverebbero sulla vitalità del lievito di birra. È inoltre utilizzato in quei prodotti dove gli aromi prodotti dalla fermentazione non sarebbero graditi.

Il lievito chimico è composto da bicarbonato di ammonio e bicarbonato di sodio. Quest’ultimo sviluppa anidride carbonica a contatto con l’acqua. Mentre il bicarbonato d’ammonio produce anche ammoniaca, infatti solitamente viene utilizzato nei prodotti con ampia alveolatura, in modo che fuoriesca senza alterare il sapore.

Il lievito fisico

L’esempio più immediato per comprendere che cosa sia il lievito fisico è il pan di Spagna. Se prendiamo in considerazione la preparazione di questo dolce sappiamo che si tratta di combinare farina, uova e zucchero e di amalgamarli incorporando aria nell’impasto.

Sarà quindi proprio l’aria a permettere l’aumento del volume e, una volta in forno, il processo di cottura farà emergere una fitta alveolatura nell’impasto, facendolo lievitare “senza lievito”.

Il lievito madre (che non c’è)

Iniziamo subito col dire che il lievito madre di cui tanto spesso si sente parlare, in realtà, non esiste. Esiste invece la pasta madre, di cui abbiamo parlato in dettaglio in un precedente articolo sulla preparazione della pasta madre viva. Ovvero un semplice impasto di farina e acqua che acidifica e lievita spontaneamente, contaminandosi con centinaia di microrganismi (tra cui numerosi batteri e lieviti) provenienti dell’ambiente in cui si trova e contenuti nella farina con cui viene messo a contatto.

Ricordiamo che si può attivare una pasta madre semplicemente mescolando acqua e farina, oppure sostituendo all’acqua centrifuga di mela. Ancora aggiungendo altri ingredienti, come per esempio il miele. La pasta si mantiene poi in vita (quindi attiva e utile per la panificazione) attraverso rinfreschi periodici eseguiti aggiungendo ulteriori acqua e farina.

Rispetto al lievito di birra, con la pasta madre possiamo ottenere un pane, una pizza o un dolce con una acidità maggiore e un bouquet aromatico più intenso, che si traducono quindi in fragranza e digeribilità più elevati.

Negli ultimi anni sta prendendo piede, soprattutto nell’ambito casalingo, la pasta madre in crema, il cosiddetto licoli, una pasta madre che presenta una percentuale d’acqua più elevata, che risulta di più facile mantenimento e che proprio per questo motivo sta riscontrando successo anche nell’impiego professionale.


© Foto: Paolo Picciotto

Tratto da “Che Pizza” di Renato Bosco. Vuoi saperne di più sul libro? Qui trovi tutte le informazioni

a cura di Redazione Italian Gourmet