Grande Cucina

Risotto 2.0

Il riso arriva nella nostra storia nel Rinascimento, ma il risotto si definisce nell’Ottocento.
Oggi, però, si cucina senza brodo e soffritto.

a cura di Fabio Zago

Il riso è il cereale più consumato al mondo e il risotto, o riso mantecato, è uno dei piatti più rappresentativi della cucina italiana. Di fatto è l’alter ego della pasta.
È un piatto che vede il suo ingresso nella storia della cucina italiana già nel Rinascimento, ma si definisce tecnicamente per come lo conosciamo oggi (risotto), alla metà dell’Ottocento, quando il soffritto diventa un passaggio tecnico abituale di molte e differenti preparazioni gastronomiche. Ma andiamo con ordine.
Scelto il riso preferito e di buona cottura, e in questo caso le preferenze vanno dal classico Superfino Carnaroli, di eccellente qualità e ottima tenuta di cottura, al più difficile e piccolo quanto eccellente semifino Vialone nano, si comincia la preparazione.

I passaggi principali

1.Il soffritto e cioè una cottura attenta di un bulbo, in origine la cipolla tritata ma ora pare sia spesso preferito lo scalogno, più delicato, di più rapida cottura e più modaiolo, in un grasso che in origine, essendo la ricetta cresciuta nel Nord, era il burro.
Il limite del soffritto è la sua possibile eccessiva presenza organolettica e soprattutto la difficoltà digestiva che comporta; scaldare i grassi a lungo e poi cuocerli in un ambiente acido a lungo non è salutare.

2. La tostatura del riso e cioè la cottura a secco di due o tre minuti durante la quale il riso si scotta esternamente e in seguito alla cottura in un liquido bollente, di norma del buon brodo, non si sfalderà al momento della cessione violenta dell’amido.
Il limite è che durante la tostatura, che si deve effettuare a calore pur sempre vivace, si rischia di bruciare il soffritto. Un grave errore.

3.Il terzo passaggio è quella classica “sfumata” di vino che dona alla preparazione un minimo di profumo ma soprattutto il tono di acidità assolutamente necessario, altrimenti il risotto sarebbe decisamente sbilanciato, troppo dolce-salato-grasso. Importante: il vino dovrebbe essere già caldo.

4. La cottura in brodo bollente aggiunto in più volte per mantenere la temperatura di cottura ideale sotto forma di delicata ebollizione e per essere certi che una volta cotto il riso, non sia presente un’eccessiva quantità di brodo residuo

5. L’aggiunta dell’ingrediente o degli ingredienti che rendono caratteristico il risotto (lo zafferano e il midollo oppure la buccia di limone e il rosmarino o ancora i carciofi o i funghi e cosi via). Ovviamente l’ingrediente aggiunto deve essere perfettamente cotto al momento della perfetta cottura del riso. Le soluzioni sono molteplici, ma in linea generale si sceglie di cuocere l’ingrediente nel riso oppure separatamente, unendolo al riso poco prima della mantecatura.

6. La mantecatura finale, che rende il riso all’italiana unico nel suo genere, nel vasto panorama mondiale di ricette a base di riso. Rigorosamente fuori dal fuoco si aggiungono quantità considerevoli di burro (mantequilla in spagnolo e per questo “mantecare”) e formaggio; più raramente si utilizzano olio extravergine e erbe aromatiche sebbene il risultato finale sia decisamente diverso. Si mescola con una certa energia e una tecnica di scuotimento della casseruola molto particolare. Non mi dilungo neppure nel raccontare del sale o del breve periodo di riposo prima del servizio.
Sembrerebbe che tutto si realizzi in un’unica casseruola, brodo a parte, ma se facciamo scaldare il vino e cuociamo il nostro ingrediente di carattere – come ad esempio i carciofi -“a parte” le casseruole e i fuochi impiegati diventano quattro.

Nella tecnica moderna le cose cambiano

Il soffritto sparisce o viene spesso sostituito da una cottura delicata di scalogno, burro e vino bianco che non prevede la rosolatura ma una stufatura. Questo ex soffritto viene aggiunto al risotto al momento di mantecare; la tostatura avviene in casseruola senza soffritto, ovviamente, e spesso senza grassi aggiunti e quindi a secco. Il vino sparisce, essendo presente nell’ex soffritto preparato a parte. Famoso è allo stesso modo il burro acido inventato da Gualtiero Marchesi 40 anni fa; in questo caso quello che ho chiamato ex soffritto viene filtrato e strizzato, quindi aggiunto a una buona dose di burro morbido e posto in frigo: servirà per mantecare il riso alla fine.
Si bagna il riso con acqua leggermente salata e acidulata con aceto o succo di limone; se il riso si arricchisce di ingredienti saporiti, il brodo viene considerato superfluo; quando è pronto si manteca come previsto nella ricetta classica unendo l’ex soffritto o utilizzando il burro acido e il formaggio. Senza dimenticare che il formaggio è un ingrediente di sapore deciso e ricco di sapidità e acidità.
Alla fine si cerca sempre di ottenere un riso morbido, equilibrato nei suoi sapori naturali di dolce dovuto all’amido, di giusta sapidità e acidità che dipendono dagli interventi che abbiamo analizzato; che presenti in giusta dose il profilo aromatico ideale, che dipende dall’ingrediente aggiunto, ma che consenta comunque di “sentire” il sapore del riso.

 

Per riassumere

Soffritto sì o no, vino sì o no, brodo sì o no.
La versione moderna può scandalizzare; il risotto senza brodo e senza soffritto sembra non essere più risotto, in effetti. Ma non è cosi. Sicuramente il risotto sarà più digeribile, meno impegnativo e costoso, più rapido nella sua esecuzione finale, che deve essere, non dimentichiamolo, espressa, cioè effettuata solo al momento della richiesta dell’ospite. Senza soffritto, o comunque con l’ex soffritto pronto, magari con il riso già tostato, senza dover preparare il brodo in anticipo, le cose cambiano. La bontà, quella non deve cambiare.